Tommaso Landolfi (1908-1979)
Il racconto del lupo mannaro
IL TEMA DEL RACCONTO La luna è stata fonte di ispirazione per poesie e canzoni,
rappresentata in innumerevoli dipinti, considerata una dea da molte popolazioni e
comunque sentita come una presenza amica, che rischiara la notte benevolmente, per
tutti tranne che per i protagonisti di questo racconto, che con la luna hanno qualche
problema.
L' amico ed io non possiamo patire la luna: al suo lume escono i morti sfigurati
dalle tombe, particolarmente donne avvolte in bianchi sudari, l’aria si
colma d’ombre verdognole e talvolta s’affumica d’un giallo sinistro, tutto c’è da
temere, ogni erbetta ogni fronda ogni animale, in una notte di luna. E quel che
è peggio, essa ci costringe a rotolarci mugolando e latrando nei posti umidi, nei
braghi dietro ai pagliai; guai allora se un nostro simile ci si parasse davanti! Con
cieca furia lo sbraneremmo, ammenoché egli non ci pungesse, più ratto2 di noi,
con uno spillo. E, anche in questo caso, rimaniamo tutta la notte, e poi tutto il
giorno, storditi e torpidi, come uscissimo da un incubo infamante. Insomma
l’amico ed io non possiamo patire la luna.
Ora avvenne che una notte di luna io sedessi in cucina, ch’è la stanza più
riparata della casa, presso il focolare; porte e finestre avevo chiuso, battenti e
sportelli, perché non penetrasse filo dei raggi che, fuori, empivano3 e facevano
sospesa l’aria. E tuttavia sinistri movimenti si producevano entro di me, quando
l’amico entrò all’improvviso recando in mano un grosso oggetto rotondo simile
a una vescica di strutto4, ma un po’più brillante. Osservandola si vedeva che
pulsava alquanto, come fanno certe lampade elettriche, e appariva percorsa da
deboli correnti sottopelle, le quali suscitavano lievi riflessi madreperlacei simili
a quelli di cui svariano5 le meduse.
«Che è questo?» gridai, attratto mio malgrado da alcunché di magnetico nell’aspetto
e, dirò, nel comportamento della vescica.
«Non vedi? Son riuscito ad acchiapparla...» rispose l’amico guardandomi
con un sorriso incerto.
«La luna!» esclamai allora. L’amico annuì tacendo. Lo schifo ci soverchiava:
la luna fra l’altro sudava un liquido ialino6 che gocciava di tra le dita dell’amico.
Questi però non si decideva a deporla.
«Oh mettila in quell’angolo» urlai, «troveremo il modo di ammazzarla!»
«No», disse l’amico con improvvisa risoluzione, e prese a parlare in gran fretta,
«ascoltami, io so che, abbandonata a se stessa, questa cosa schifosa farà di tutto
per tornarsene in mezzo al cielo (a tormento nostro e di tanti altri); essa non
può farne a meno, è come i palloncini dei fanciulli. E non cercherà davvero le
uscite più facili, no, su sempre dritta, ciecamente e stupidamente: essa, la maligna
che ci governa, c’è una forza irresistibile che regge anche lei. Dunque hai capito
la mia idea: lasciamola andare qui sotto la cappa, e, se non ci libereremo di lei, ci
libereremo del suo funesto splendore, giacché la fuliggine la farà nera quanto
uno spazzacamino. In qualunque altro modo è inutile, non riusciremmo ad
ammazzarla, sarebbe come voler schiacciare una lacrima d’argento vivo».
Così lasciammo andare la luna sotto la cappa; ed essa subito s’elevò colla
rapidità d’un razzo e sparì nella gola del camino.
«Oh», disse l’amico «che sollievo! quanto faticavo a tenerla giù, così viscida e
grassa com’è! E ora speriamo bene»; e si guardava con disgusto le mani impiastricciate.
Udimmo per un momento lassù un rovellio7, dei fiati sordi al pari di trulli8,
come quando si punge una vescia9, persino dei sospiri: forse la luna, giunta alla
strozzatura della gola, non poteva passare che a fatica, e si sarebbe detto che
sbuffasse. Forse comprimeva e sformava, per passare, il suo corpo molliccio;
gocce di liquido sozzo cadevano friggendo nel fuoco, la cucina s’empiva di
fumo, giacché la luna ostruiva il passaggio. Poi più nulla e la cappa prese a
risucchiare il fumo.
Ci precipitammo fuori. Un gelido vento spazzava il cielo terso, tutte le stelle
brillavano vivamente; e della luna non si scorgeva traccia. Evviva urràh, gridammo
come invasati, è fatta! e ci abbracciavamo. Io poi fui preso da un dubbio:
non poteva darsi che la luna fosse rimasta appiattata nella gola del mio
camino? Ma l’amico mi rassicurò, non poteva essere, assolutamente no, e del
resto m’accorsi che né lui né io avremmo avuto ormai il coraggio d’andare a
vedere; così ci abbandonammo, fuori, alla nostra gioia. Io, quando rimasi solo
bruciai sul fuoco, con grande circospezione, sostanze velenose, e quei suffumigi10
mi tranquillizzarono del tutto. Quella notte medesima, per gioia, andammo
a rotolarci un po’ in un posto umido nel mio giardino, ma così, innocentemente
e quasi per sfregio, non perché vi fossimo costretti.
Per parecchi mesi la luna non ricomparve in cielo e noi eravamo liberi e leggeri.
Liberi no, contenti e liberi dalle triste rabbie, ma non liberi. Giacché non è
che non ci fosse in cielo, lo sentivamo bene invece che c’era e ci guardava; solo
era buia, nera, troppo fuligginosa per potersi vedere e poterci tormentare. Era
come il sole nero e notturno che nei tempi antichi attraversava il cielo a ritroso,
fra il tramonto e l’alba.
Infatti, anche quella nostra misera gioia cessò presto; una notte la luna ricomparve.
Era slabbrata e fumosa, cupa da non si dire, e si vedeva appena, forse solo
l’amico ed io potevamo vederla, perché sapevamo che c’era; e ci guardava rabbuiata
di lassù con aria di vendetta. Vedemmo allora quanto l’avesse danneggiata
il suo passaggio forzato per la gola del camino; ma il vento degli spazi e la sua
corsa stessa l’andavano gradatamente mondando11 della fuliggine, e il suo continuo
volteggiare ne riplasmava il molle corpo. Per molto tempo apparve come
quando esce da un’eclisse, pure ogni giorno un po’più chiara; finché ridivenne
così, come ognuno può vederla, e noi abbiamo ripreso a rotolarci nei braghi.
Ma non s’è vendicata, come sembrava volesse, in fondo è più buona di quanto
non si crede, meno maligna più stupida, che so! Io per me propendo a credere
che non ci abbia colpa in definitiva, che non sia colpa sua, che lei ci è obbligata
tale e quale come noi, davvero propendo a crederlo. L’amico no, secondo lui
non ci sono scuse che tengano.
Ed ecco ad ogni modo perché io vi dico: contro la luna non c’è niente da
fare.
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