LA MUTA
Vengono ... vengono. No non vengono, non è possibile, è troppo
presto. Ma se non vengono verranno, questo è certo, ineluttabile. Dia·
mine, ma lo è per tutti, non solo per me. Senza dubbio, eppure per gli
altri è diverso. Perché diverso? qui è il punto da chiarire, non per
oziosa curiosità intellettuale (che me ne importa del problema in sé e
dei sentimenti degli altri?) ma per adeguarsi se mai agli altri. Ah, ve·
diamo di capirci qualcosa; è necessario, è urgente che io trovi il modo
di morire. Ricominciamo da capo.
Dunque io ho ragionato cosi: che
cosa è che distingue l'attesa (della morte) di un uomo qualunque da
quella di un condannato a morte, quale io sono? Evidentemente, mi
son risposto dopo matura riflessione, il fatto che il primo ignora il
tempo e il modo della sua morte; basta dunque che io mi ponga nelle
condizioni di. ignorare eccetera, perché il terrore sia vinto. Di conse·
guenza ho raccomandato al mio avvocato di fare tutto quanto è in suo
potere, ma senza informarmi. E difatto ora non so se la domanda di
grazia sia stata respinta o per quando sia stata fissata l'esecuzione, e
neppure a rigore come essa si svolgerebbe: giacché, se .in questo stato
si muore sulla sedia elettrica, l'avvocato potrebbe sempre ottenere di
trasferirmi in un altro stato, nel qual caso morirei impiccato o chissà
come. Per cui dovrei essere a posto. E invece non sono a posto per
nulla; già da tempo mi sono avveduto che il mio ragionamento era in·
genuo. Me ne sano avveduto, ma senza sapere esattamente perché-lo
fosse. E cosi, perché lo era? Riragioniamo. E il mio nuovo ragiona·
mento mi dà alla prima questo risultato: il mio ragionamento era inge·
nuo perché ... ho dimenticatol'argomentazione principale (mi succede
ora), Passiamo allora alla secondaria: era ingenuo perché il termine
opinabile o diciamo putativo della vita d'un uomo qualunque è altro
da quello d'un condannato a morte. Intendo che mentre gli altri pos·
sono sperare, seguendo un certo corso naturale, di morire tra molti
anni, io questo non posso sperarlo in nessuna maniera: tra rinvii, òpposizioni
ed eccezioni andrò magari avanti un anno o due, ma poi...
Insomma la mia sarebbe la situazione del malato di cancro, al quale i
medici avessero assegnato un tempo approssimativo, ma in ogni caso
assai breve, di vita ... Sciocchezze! Basterebbe dunque poter supporre
la morte lontana per esser tranquilli, il che viene a dire supporla vicina
per essere turbati, angosciati, disperati? E i vecchi allora, che spesso
vediamo in quieta attesa di essa? Dice: i vecchi li aiuta la natura, attutendo
le loro facoltà. E gli stessi malati di cancro o d'altra malattia inguaribile
a corta scadenza? Questi infatti non ho mai capito come facciano
a vivere, o piuttosto a morire; eppure vivono e muoiono. (Ma
anch'io, con tanto agitarmi e stillarmi il cervello, vivo e finirò col morire,
anche senza aver trovato il modo per farlo; io però disperato, disperato,
e loro non sempre; io in preda allo spavento, all'orrore) ... Ce
n'era uno, mi rammento, al mio paese: una piaga alla gamba gli era andata
in cancrena, e non gli si poteva tagUare la gamba perché il cuore
non gli avrebbe retto, sarebbe stato come ammazzarlo sul momento. E
sicché lui rimaneva Il, con quell'incendio e quella distruzione che saliva,
saliva, e di cui si potevano (lui stesso poteva!) misurare i progressi
di giorno in giorno, d'ora in ora. E cosa pensate che facesse? che s'agitasse,
bestemmiasse, offrisse l'anima al diavolo, o alle brutte pregasse?
Eh, sarebbe stato facile se avesse saputo pregare. No, non faceva nulla:
stava Il e aspettava che la mala bestia gli azzannasse pian piano le 0.scere
e da ultimo il cuore. Mandò a chiamare un po' alla volta tutti i
parenti e tutti i notabili del paese per congedarsi da loro, li abbracciava,
baciava, augurava loro ogni bene; durante una di queste visite
tirò su le coperte scoprendo la gamba e, quasi senza rabbia, senza impazienza,
quasi senza rancore disse alla cancrena: «Su, coraggio» ...
Beh, e questo come poté avvenire? lo me lo chiedo, io devo saperlo;
benché forse saperlo non mi servirà. Si, un momento fa ero tentato di
concludere ultimamente, a proposito del mio ragionamento iniziale,
che esso in sostanza era ingenuo perché era un ragìonamento, perché
nessuno potrà mai, checché faccia, mettersi nella condizione di un altro
o solo immaginarvisi, donde che a me restava il ragionamento
nudo e crudo, e non è coi ragionamenti che si trova la via di morire; si
troverà se mai quella del suicidarsi, che è tutt'altra e propriamente opposta
cosa. Ero tentato di concludere cosi; ma ora, ora appunto, un'idea
terribile mi attraversa la mente. Terribile: io dovrò forse valutare
la qualità intima di codesta e di questa attesa della morte ... Tremo a
spiegarmi, eppure devo farlo: sarebbe, dico, diversa in sé l'attesa della
morte per un innocente e per un colpevole? Mio Dio, in tal caso per
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me non vi sarebbe salvezza, perché io colpevole sono: ho ucciso! Non
vi sarebbe salvezza, non già dalla morte, che è il meno e che forse non
esiste neppure, ma dal mio terrore ed orrore di essa, che son bene una
realtà. Le mie notti sono diventate lunghi, infiniti incubi, io. temo di
addormentarmi perché essi possono venire da un momento all'altro:
entreranno di soppiatto, approfittando di un mio momentaneo assopimento
(l'ho veduto in. un film); magari la sera prima, seduti sul mio
letto, mi avranno raccontato qualche storiella pepata, mi avranno fatto
parlare delle mie donne; mi afferreranno le braccia, prima di dirmi che
è l'ora ... n cibo è diventato veleno, il mondo è stravolto, ogni mio sentimento,
ogni minuto piacere è minacciato e dir??i sterilizzato, su tutto
grava· un'ombra nera, in tutto si annida l'angoscia, ogni attimo mi
porta tutte insieme le pene dell'inferno, ogni attimo è un che di attossicato
che devo ingollare e non posso ingollare se non tendendo tutte
le mie forze, la luce mi offende, il buio è solido, soffocante, minaccioso,
ogni apparenza mi è estranea eppure mi ferisce nel profondo. È
una tortura senza nome e senza fine la mia: perché devo morire, perché
son condannato a morte! Ah, chi mai potrà sapere che cosa significano
queste tre parole, che non sia condannato a morte? Tortura senza
fine, certo: perché se ci arrivo cosi, alla morte, la tortura non potrà che
seguitare al di là di essa, o essa medesima essere la prosecuzione eterna
d??lle mie pene. Mio Diò, come si può vivere, come si può morire, cosi?
O dovrei sperare in un perdono e acquietarmi nella speranza di up futuro?
Non dico, questa è forse una strada, ma il male è che nessuno
può insegnarmela se non la ho già tracciata dentro. E non ce l'ho: io
non· spero in un perdono perché non spero e non credo in chi dovrebbe
accordarmelo; e non di futuro posso o sento di brigarmi, ma di
presente. È ora e qui che devo risolvere la mia situazione; subito, subito.
E non ho altra via che ... È una via assurda, pazzesca: io ho ucciso,
io ho ucciso una fanciulla di quindici anni! Ma è l'unica via. Infine, io
devo tentare di convincermi... Ma ho ucciso, ho ucciso una fanciulla di
quindici anni. Devo tentare di convincermi che non sono colpevole.
Sarà difficile,. sarà impossibile, lo so: devo tentare tuttavia, o almeno
cercar di capire perché l'ho fatto, o almeno ... Chissà, a ricordare punto
per punto come fu potrò forse trovare .. . Ah, che .cosa? una spiegazione
se non una giustificazione, come dicono? Ebbene si: e se non una spiegazione
del fatto, una di me, o di dove si sia dipartito e si diparta ciò,
quello e questo ... O mio Dio (cioè o luce superstite dell'anima mia},
aiutami!. .. Odo passi qui fuori: mi lasceranno tempo?
II
Aveva come un'ombra sulla fronte, o forse proprio qualcosa di fosco
nello sguardo. Ma non di fosco, era piuttosto come guardasse
avendo il sole di fronte o dall'ombra dei suoi cigli; qualcosa di bruno,
e non so dire altrimenti. O tutt'al più potrei dire di notturno,· d' ombroso,
per la terza volta. Ed era timido, quello sguardo, e al tempo
stesso ardito; ardito in un modo particolare, come di chi reagisca a un
proprio sgomento, o meglio come ... come mugolante, non trovo altra
parola. Ah che vale? io mi' confondo se tento di definirlo... Come
muto, ma di qualcosa. Si può essere muti di qualcosa, come si è pieni o
parlanti di qualcosa? Ebbene, il suo sguardo sarebbe stato muto di voluttà,
di dolcezza, ma anche di pena, di presagio ... Che diavolo sto scrivendo?
Non importa. Ed era, lei stessa, tutta lei, d'una bellezza, non
veglio neppur dire perfetta: più e diversamente che perfetta, d'una
bellezza terribile, inconsapevole. Le donne che hanno coscienza di sé,
si affermai son le più pericolose: sì certo, ma per gli spiriti grossi, per
sensi ciechi. Alquanto e non troppo alta, slanciata, le detti quindici
anni alla prima, e tanti ne aveva, come seppi dopo; la incontravo il
mattino alle otto o qualche minuto innanzi, quando andava a scuola.
In principio per caso, poi provocavo quegli incontri, ossia facevo in
modo di trovarmi sulla.sua strada. Ciò che vedevo del suo cotpo attraverso
il semplice abitino mi faceva impazzire; talvolta ella doveva scaricate
il peso dei libri sull'anca, che appariva cosi ben rilevata, spaventosamente
dolce, curva, rotonda; talvolta il vento modellava tra il panno
i suoi lombi, tal' altra, affrontandola, il seno tenero eppur già solido,
elastico, il piccolo ventre, le vertiginose vacuità, e· a me si mozzàva il
fiato. Le sue gambe già perfettamente formate, snelle, animose, mi si
movevano dentro come alla madre il bambino; ma, particolare da
pianto disperato, da pianto quasi d'orrore, ella buttava ancora un poco
i piedi e solo i piedi in qua e in là al modo dei paperini. Non mi guardava,
poi cominciò a guardarmi indefinibilmente dal suo alone di
notte. Notturni aveva anche i capelli colla frangetta, e certo anche l'altra
piccola chioma nascente... Ma perché seguitare questo farnetico,
questo delirio della memoria? In breve, ben presto seppi che dovevo
averla, che non potevo fare a meno di lei e di averla; sarei morto se no,
morto soffocato. Era àmore? Non so, non mi importa: era una fiamma,
un vulcano, una fontana di sangue dentro di me.
Ma come averla, come solo parlarle senza destare il vespaio, la malevolenza
(si era in un piccolo posto), senza incappare nei soliti genitori,
in fratelli forse, senza doverla disputare, e con poca speranza di
successo, a coloro che ingiustamente la tenevano per sé, al mondo
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stesso in cui era'invescata? il suo, e questo maggiore per entro il quale
indebitamente si aggirava, lei creatura vietata, venuta • dal fondo del
tempo e dello spàzio? Non sapevo che risolvere. Fantasticavo di dirle
d'un tratto, come Garibaldi, «Tu sei mia»; ma; supponendo che ella
avesse risposto o taciuto come Anita, io non ero certo Garibaldi, e in
che modo avrei sostenuto, io, una tale condizione? Non· sapevo che risolvere;
tuttavia non v'era dubbio che eUa fosse qui per sorreggermi,
per compirmi ed empirmi, è al tempo stesso per chiedere il mio: aiuto
ed esser piena di me, cedendomi mezza la sua celeste virtù in cambio
di mezzo il mio sangue. Come poteva dunque qualcosa opporsi al
compimento di questa augusta sorte?.:. Ancor oggi son pazzo, lo so: si
può tnai parlare in questi termini! A buon conto, in altri più terreni,
una cosa era'sicura: che occorreva per lo meno il suo consenso.
Ho detto che aveva cominciato a guardarmi· indefinibilmente; io
nondimeno mi studiai di definire quelle occhiate, né starò a dire tutto
dò che almanaccai. Alla fine conclusi che esse potévano tradursi
press' a poco èosi: Tu mi piad perché mi piaci e perché ti piaccio, io
poverà bambina che ancora non avrei diritto agli omaggi maschili; ma
ho qualche cosa da nascondere. Era, si capisce, una mera e per di più
vaga interpretazione, di scarsa utilità immediata; ma che fard se io do"
vevo necessariamente procedere per saggi? Ad ogni modo quella sorta
di ipotesi appariva confortante per dò almeno che escludeva ogni avversione
da parte sua; non mi trovavo insomma, sembrava certo, di
fronte a una ripulsa preliminare. Del che convintomi, potevo anche
operare come il matematico che appunto poneun'ipotesi salvo a vedere
·cosa ne vien fuori da ultimo e a ricominciare con altra. Quanto
poi a dò che ella avrebbe avuto da nascondere, potevo pel momento
far conto che fosse una specie di fioritura della mia interpretazione,
un'aggiunta non essenziale su cui tni avrebbe illuminato l'avvenire. E
beninteso, se veramente vi fosse stato oscuro fallo in lei, esso sarebbe
divenuto il mio più potente alleato ... Maledette spiegazioni in cui tutto
si perde: e invece tu devi rivivete in queste pagine, rimorire, riessere
mia come lo fosti. SpiegaZioni inutili poi: più presto che non sperassi
dovevo rendermi ragione di ogni cosa.
Studiai le sue abitudini. Vidi che usava fare solitarie girate in bicidetta.
Sola era quasi sempre, a parte l' occasionale presenza di qualche
familiare:. perché? Sua·meta preferita pareva essere un luogo sul fondo
della· passeggi1lta a mare, con una tal panchina su cui talvolta sedeva
brevemente a riposare. Ora, non lungi di li era un piccolo campo di
tennis col lato minore protetto da stuoie; le quali peraltro lo sopravanzavano
d'un paio· di spanne, formando dunque col lato maggiore un
angolo morto o cantuccio. Qui un uomo di scelta (io) avrebbe potuto
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trovare comodamente posto, ed ella giungendo si sarebbe creduta sola;
inoltre il luogo era per solito deserto, almeno di tardo pomeriggio, all'
o.tra sua. Sicché quello che volevo fare è chiaro: approfittare di tali circostanze
favorevoli per avvicinarla in qualche modo, possibilmente per
parlarle. E non misi tempo in mezzo.
La prima sera non venne; la seconda, la vidi· di lontano avanzare
lentamente e come peritosamente, ondeggiando sulla sua bicicletta.
Scomparvi nel mio riparo; lei raggiunse la panchina, vi si appoggiò
contro. restando in sella, poi scese, gen;ò intorno una delle. sue occhiate
ombrQSe, e finalmente si sedette. Era il momento, e venni fuori con
aria distratta; lei guardava il mare e non mi badò punto; o meglio dovette
bensi osservarmi in qualche modo e certo mi riconobbe, ma in
ogni caso immaginava che passassi oltr.e. Mi sedetti invece a mia volta,
s'intende all'altro estremo della .panchina. Ma che cosa dovevo dirle?
Niente, il meglio era non dir niente e stare a vedere. Lei seguitava a
guardare il mare, immobile; ma notai con piacere che era leggermente
inqlli,eta. Vedevo fremere il minuscolo orecchio e le labbra serrarsi di
tratto in tratto, dal quale impercettibile movimento il meraviglioso
profilo risultava, pure, singolarmente e buffamente modificato, e regrediva,
se cosi posso dire, verso la sua segnatura infantile. Quanto
però a utilizzarlo, codesto qualunque turbamento della fanciulla, non
ne immaginavo proprio la maniera; inoltre mi rendevo cont.o che di li
a un istante se ne sarebbe andata, e addio.
Mi stillavo in furia il cervello; e il mezzo che li per li mi sovvenne
fu dei più arzigogolati, ma per la verità discese abbastanza conseguentemente
da un mio moto iniziale. Insomma, vedendola turbata, avevo
provato come primo impqlso quello di calmarla e blandirla. Ma ne
avevo troppo debole e incerto pretesto; sicché ora escogitai di far aumentare
quel turbamento quanto bastasse per motivare un mio intervento
.. E cosi mi detti, prima a çanticchiare tra i denti qualcosa di
estemporaneo (non volevo compromettermi con qualche motivetto
che le fosse antipatico, né rischiare di apparirle troppo o troppo poco
intelligente), quindi ruppi in una breve e sinistra risata fra me e me,
quindi ancora in mugolii come di commento a qualche improvviso
pensiero, accompagnati da appropriata gesticolazione, e in una parola
feci di tutto per sembrarle un di quei mezzi squilibrati che appunto
frequentano le pubbliche panchine (in verità, nell'atto medesimo, lo
ero più che a mezzo). E qui, come previsto, lei si volse e mi guardò
opacamente, con simulata indifferenza, in realtà con un certo sgomento;
e si trasse su con studiata lentezza, quasi disponendosi non già
a fuggire, ma semplicemente a ritirarsi. lo, la questione del come rivolgermi
a lei, se come a bambina o come a signorina, l'avevo risolta da
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un pezzo rilevando l'evidente vantaggio della prima alternativa, sicèhé
dissi:
«Che c'è, ti ho forse spaventata? Ma no, sta' tranquilla: è che a
volte mi vengono in capo delle cose buffe, e sai ... ».
Taceva; ma nei suoi occhi foschi mi parve si accendesse una luce di
bontà, . di confidenza. Mi guardava meno opacamente; e mansuetament
??, questo è certo. Ripresi subito:
«<n quale scuola vai, ti piace studiare?». n riferimento alla sua qualità
di scolaretta, di bambina, era intenzionale.
Taceva, guardandomi di sottecèhi; un po' timida, ma non intimidita.
«Tu sei di qui, non è vero? Hai dei fratellini, delle sorelline?»
Taceva. Ma, perdio, se non mi rispondeva mi sarei trovato presto,
mi trovavo già, a corto d'argomenti. E perché poi non rispondeva? sarebbe
stato per sbigottimento, come talvolta capita ai bambini piccini?
<<Bella quella bicicletta: è tua?» ·
Taceva. No, il suo silenzio cominciava a diventaré innaturale; e,
che diavolo, i suoi occhi parevano ora più lustri, come inumiditi da lacrime
avare. Bisognava scuoterla; decisi di farle una domanda appena
un tantino più provocante.
«Come mai sola soletta? Le bambine della tua età vanno a spasso
colle loro·compagne.»
Taceva. E infine ... Oh piccola, o cara, che tu sia benedetta per quel
momènto che mi ti fece perfino più prossima, che ti piegò a me. Che
tu sia benedetta per esso e per questo di ora, per questo ricordo in cui
annego e che mi ti restituisce intera (ma ti ho mai perduta? non ti ho
fatta mia per Peternità?) ... E infine, dicevo, fece un gesto eloquente; si,
eloquente.
Era muta. Non che fosse muta di qualcosa, come, con facile effetto
letterario, ho detto più sopra del suo sguardò: era muta e basta. Certo,
anche qui si può dire, riprendendo e stravolgendo in parte la frase, che
lo fosse di tante cose, ma solo perché nessuno vieta di snocciolare frasi
che non significano nulla; a meno non si voglia con dò intendere che
quel difetto aveva lasciato intatte e fors'anche potenziato le altre sue
facoltà (per esempio non era punto sorda, com'è tanto spesso dei
muti). Il qual difetto poi son convinto che non fosse definitivo, ma attinente
invece a un certo stato di qualche suo organo o sistema e colle
debite cure revocabile; pel momento comunque ella era muta - e lo è
ormai irrevocabilmente.
Era muta. E io, che mi ero avvezzato a considerarla, a vederla com-
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piuta come la Donzella, che cosa dovevo fare di questa sua insospettata
menomazione? Ma era essa in primo luogo una menomazione? Invero
i miei affetti non avevano altra via che stimarla una nuova perfezione;
voglio dire che questa era la loro via naturale, sebbene non
esente da pericoli e da agguati. Se una.perfezione per eccesso è genericamente
oppressiva, una per difetto, mio Dio, è di sua: natura angosciosa,
intollerabile ... Non serve spiegarsi meglio o anticipare: nel seguito
si vedrà, o non si vedrà e fa lo stesso, quale parte fatale poté
avere quella mutezza nella nostra sorte. D'altronde la mia reazione immediata;
sulla panchina, al suo gesto eloquente fu, oltre che di sorpresa
e di strazio, d'esultanza: la sua confessione infatti la ponevà in
certo senso alla mia merc??, in s?? e in me stesso; inoltre l'esservisi lei abbandonata
mi garantiva le sue buone disposizioni.
Seguitava con gesti vivaci,( infantili a insegnare la propria bocca,
quasi sforzandosi di articolare parole; ma non mugolava sgradevolmente
e penosamente, come fanno in genere i mu.ti. Vedevo la chiostra
dei dentini,, l'umida, brillante lingua, le. gengive scarlatte; vedevo, cioè
guardavo affascinato, e non avevo ancora trovato una frase adatta. Finalmente
dissi, o piuttosto balbettai:
«Oh capisco; ma ... non importa».
Rispose abbassando ripetutamente ed energicamente· il mento: importava
invece e molto. Mi lanciai:
«Ma senti, è meglio anzi: che serve parlare, scambiare frasi vuote
colla gente? Vuote, ma per esse va via tanta parte di noi...».
Mi guardava attentamente; credetti di poter continuare.
« ... T11nta parte che potremmo impiegare più ... più nobilmente. È
attraverso la parola, il cosiddetto dono della favella, che l'uomo perde
l'anima sua, lo hai mai pensato?»
Esageravo; eppure i suoi occhi notturni mi fissarono più intensi, ed
ella accennò lentamente di sl! Ma non potevo contarci: spesso le bambine
fanno cosl,.fingono di capire. Era meglio non spingere all'estremo
la prova, tornare a un tono più comportevole. ·
«A te che manca? Tu odi, tu vedi, tu puoi leggere: ti piace leggere?
»
Si.
«Ebbene, non è quello un colloquio, una conversazione con qualcuno;
e di quanto più degno?»
Sl, con calore. Bene, era il tono giusto.
«E se non puoi parlare proprio a parole, puoi sempre scrivere ... »
Una curiosa agitazione si impadronì di lei a questo punto, cui sulle
prime non badai.
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«E scrivere non ci permette di dir le cose a caso e di perderei in
chiacchiereinutili; a scrivere siamo soli colla nostra coscienza ... »
La sua agitazione cresceva; mi guardava supplichevolmente, ossia
mi supplicava di capirla. Fece alcuni gesti convulsi che non intesi; li ripet?
disperata, ·e mi parve di intendere. Sarebbe mai stato vero? Era
più di quanto sperassi.
«Cosa, tu scrivi?»
Si, con sollievo ed orgoglio.
«Beh, si capisce, a scuola de.vi anche scrivere, anzi devi scrivere più
delle altre, perché loro coi professori possono parlare, e tu ... »
No, ·non era questo.
«Come, scrivi allora proprio per te stessa?»
Si: finalmente l'hai capita.
«E che cosa scrivi?»
Gesto vago: un po' di tutto. Ma poi, conversione del lungo indice
sul petto di rondine. Che voglia dire un diario?
«Un diario?»
Si, anche.
Ma qui d'improvviso si riscosse, fece cenno che doveva andar via
in fretta; si levò, rinforcò la bicicletta badando a non scoprir le gambe,
chinò appena il capo per saluto e se ne andò davvero. Meglio cosi: cominciava
senza avvedersene a scivolare nell'angoscioso linguaggio mimica
dei muti, e io questo proprio non lo volevo. Le guardai dietro: i
colpi di reni con cui riprendeva l'equilibrio quando fosse per perder! o
mi dettero i brividi. .
Naturalmente questi convegni seguitarono con discreta frequenza,
benché non predisposti e quantunque pericolosi fossero; ma ella sembrava
non darsi pensiero della gente, forse i suoi la lasciavano abbastanza
libera, si fidavano del suo senno. Mi fu facile con lei: scopertala
docile, scopertele intelligenza e sensibilità e perfino una, sia pur generica,
propensione alla poesia, il resto veniva da sé. La mia parte era si
gravosa, giacché dovevo parlare sempre io, ma quale meraviglioso
compenso non trovavo nelle sue tacite e tuttavia faconde e tuttavia
animate risposte, nei suoi giochi d'aria, se cosi posso chiamarli! Ricordo
una volta: le recitavo, come ormai spesso avveniva, a mezza voce
una poesia· terribilmente dolce e triste, che pareva evocare ·sensibilmente
le nostre mille vite tese al proprio compimento e deluse, e rassegnate
infine nel gioco fatuo delle stagioni celesti; mentre i suoi occhi
mi fissavano umidi. E d'un tratto ella dette, o meglio si sciolse, in
pianto silenzioso, amaro, e .dolce esso stesso al pari .dei versi; e scorrevano.
e scorrevano qp.elle lacrime sul suo volto senza turbarlo; ed ella
le ringhiottiva senza poterle fermare. Oh suprema confessione della
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natura fel'll.minile, cui la bellezza è· dolore, oh gioia suprema, unica, a
nessun'altra paragonabile, per l'uomo che quella confessione accolga!
Si, ecco, vorrei parlare un poco di lei, di lei, appunto, di questa lei,
prima di venire a quell'altra. Vorrd, ma non so. Chi era lei? Non so,
non so dire che una cosa, e per oirla dovrò forse riprendere per la
terza volta una mia sciagurata frase, nel cui cerchio, non so perché, son
chiuso. Già, io mi dibatto e annaspo: vorrei almeno sapere chi ho uccisa,
chi ho fatta mia eternamente, e non lo saprò certo cosi. (Non: almeno.
È che qualche volta non so resistere alla peccaminosa tentazione
di definirla, e col freddo linguaggio della ragione.) Ma infine! Il
suo sguardo era muto di qualcosa, ho affermato in principio; poi ho
contraddetto in parte la proposizione, per riaffermarla in certo modo
subito dopo; e ora, in questa altalena di un'immagine mediocre e tra
tutte relativa, dovrei daccapo riferirmi al primo enunciato, miserabile
che sono. Eppure è quasi cosi: l'anima sua era, come il suo sguardo,
muta di qualcosa. Di tutto. Ma muti erano forse piuttosto i suoi quindici
anni: di tutto, quanto di tutto avidi. Altro non so dire, ma forse
qui è già ogni cosa; e il lago di sangue bollente nel mio cuore. Di ciò
che più importava (del suo amore?) ella non parlava mai; non poteva,
chissà; e la sua mutezza investiva, assordava e smemorava come la voce
stessa del silenzio. Avrei potuto non ... ?
I convegni seguitavano, ma io bruciavo ... Abitava in una casina al
pianterreno, e il mio progetto fu presto concepito: a notte alta,
quando tutti i suoi fossero ben addormentati, ella sarebbe uscita da
una finestra; io l'avrei attesa, e la mia propria casa era a un passo dalla
sua. Qui. peraltro fu più difficile: quando giudicai opportuno e trovai il
coraggio di comunicarle questo progetto, s'intende adducendo i soliti
pretesti di libri e letture, ella ascoltò senza soverchio stupore ma scosse
il capo in segno di diniego, né forni alcuna giustificazione. E cosi ogni
volta dipoi, se colla necessaria prudenza tornavo sull'argomento; pareva
irremovibile, e io cominciavo a disperare e a disperarmi. Cedette
invece d'un tratto, alla sua maniera, un giorno qualunque: non so cosa
passasse in quel momento nella sua testina rotonda o cosa la decidesse.
Fissammo per la sera medesima; il suo assenso nel congedarsi fu per la
verità alquanto incerto, ma io non dubitavo che sarebbe venuta.
Trascorsi quel tempo come la salamandra o lo scorpione in mezzo
al fuoco, e finalmente giunsero le due, l'ora stabilita. Di fronte alla sua
casina era un grande palazzo di recente costruzione con una specie di
portico ombroso: di li fissavo ora la finestra; o meglio la mezza finestra
(del bagno) da cui ella avrebbe dovuto uscire. Ma i secondi, i minuti
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passavano, e non v'era alcun segno di nulla; quella mezza finestra rimaneva
come suggellata, supremamente sciocca più che crudele nella
sua cecità, né percepivo altri indizi. A parte l'ambascia e la delusione,
cominciavo a sentirmi a disagio, giacché nei paesi le mura hanno occhi
e qualche insonne poteva pu:r notare la mia 'fazione. L'orologio della
chiesa, lontano, sonò le duè e un quarto. Da ultimo, quando ormai disperavo
di dominare la mia agitazione e stavo per fuggire, metà ·della
mezza persiana si mosse impercettibilmente, si sollevò pian piano in
fuori, e al suo riparo il ca pino bruno della fanciulla si mostrò un attimo;
scomparve subito, riapparve, si sporse stavolta un po' di più. Ella
scrutò intorno, mi vide, quindi trasse dalbuio una mano esile e bianca:,
e coll'indice mi accenriò ripetutamente di no; mi informava insomma
chè non voleva o non poteva venire. Ma, qualunque fosse il suo motivo,
com'era possibile per me una cosa simile? Feci disperati gesti
d'appello, poi mi resi conto che non poteva forse distinguerli e, abbandonando
ogni prudenza, venni fuori dall'ombra per ripeterli in piena
luce. Ella parve esitare, daccapo scomparve; arretrai nell'oscurità come
arso vivo. Ma di li a un istante Dio volle che l'intera meiza persiana si
schiudesse silenziosamente: dal varco di tenebra sorse e si posò sul davanzale
· un piedino ... un dei suoi da stroncare coi denti, chiuso in una
di quelle leggere scarpette senza tacco che le giovinette usano portare
in casa. Il quale, traendosi dietro la gamba, scorse sul tallone il davanzale
verso l'esterno, ne cadde rimanendo pendulo nel vuoto, e fu seguito
i?? tale via dal suo get&llo ... Ah, perché indugio in questi particolari?
E manifesto il perché; pure, essi ora mi straziano ... Giunta poi a
sedersi sulla: finestra, ella saltò leggermente a terra. Altro particolare
lacerante: aveva avuto cura di mettersi i pantaloni, certo per non mostrare
le gambe nell'uscire in quel modo.
La breve strada fino alla mia casa correva lungo il muraglione della
ferrovia ed era solitaria anche di giorno, togliendo gli operai di due palazzi
in costruzione; tuttavia non potevamo di sicuro andare insieme;
Mi mossi dunque a precededa !asciandola dov'era: sapeva già che doveva
seguitmi a distanza tenendosi quanto possibile celata. E lo fece.
Arrivai nell'andito del mio· portone, privo di illuminazione stabile ma
schiarato un tanto dai fanali della strada; mi raggiunse dopo un momento.
Mi raggiunse e mi afferrò il braccio scotendolo, e scotendo anche,
convulsamente, il proprio capo, gli occhi aggrinziti: voleva dirmi
che ci aveva ripensato, che non si sentiva, che aveva paura. Dovevo
prevedere un tale pentimento, una tale schermaglia femminile, d'al•
tronde naturale e perfettamente sincera; ma il mio ardore me lo aveva
impedito. Non avendo comunque preveduto nulla, mi sentivo ora
perso. C'era però ben poco da fare; mi strinse debolmente una mano
441
colla sua diaccia., e senza più scappò via. Venni sulla soglia: correva
come una gazzella, né potevo mettermi a inseguir la. Girò l'angolo, .e io
rimasi a ringoiare i miei sentimenti come meglio seppi.
Il giorno appresso non venne alla panchina laggiù, e neppure il seguente.
Alla fi??e, il terzo giorno, la vidi giungere velocemente colla
sua bicicletta, e già mi <lisponevo a chi$sà qual discorso insinuante; tna
ella si fermò a <J.ualche passo senza scendere, un piede puntato in terra,
e. mi guardò lungamente in silenzio, per dir cosi. Poi, d'improvviso,
con una serie di rapidi gesti mi comunicò che s'era ormai decisa, che
quella sera alla stessa ora dell'altra volta sarebbe venuta a casa mia., che
apzi era inutile la. andassi a prendere: conosceva la strada, bastava la
aspettassi a piè della scala. Come facesse a comunicarmi tutto ciò· senza
ricorrere al linguaggio dei muti (per cui conosceva la mia avversione)
non saprei dire; so solo che compresi subito. Ma non mi dette il tempo
di rispondere in alcun modo; voltò la bicicletta e filò via senza più
guardarmi.
La sera fu puntuale, e si comportò colla massima naturalezza, come
il più fosse fatto. Leggemmo poesie, pren<lemmo il tè, evitai perfino di
sfiorarla con· un dito, infine tutto andò alla solita maniera, come con
una donna. Ma per non più di mezz'ora: v'era il pericolo che a casa sua
qualcuno si destasse (sebbene anche in questo caso si potesse sperarè
di fada franca, perché lei stava in una sua propria cameretta), e d'altra
parte doveva pur dor?r?ire, al mattino aveva la scuola. La scuola! era in
realtà una ragazzina. Tornò poi sovente, cominciò a trattenet;si un po'
più a lungo, a dispetto d'ogni buon motivo. Tra. l'altro leggenuno ·qualche
pagina del suo diario: vi si accennava anche, con mistero e. circospezione,
all'inco(ltro con me e io vi ero definito «un uomo .infelice>>.
Tutto questo d'altronde non importa. Importa invece che l'incendio
da cui ero divorato non mi permise di covarmi per lungo tempo la
mia preda o di caricare quell'innocenza di voluttuose anticipazioni...
Bravo, bella frase: come se ciò potesse tradursi in termini di volgare seduzione!
Mia preda? ero io la. sua, e non la sua, di qual.cuno o qualcosa
che ambedue ci sovrastava e travolgeva e determinava nelle nostre
sorti, nella nostra vicendevole ed unica sorte ... Sarò colpevole, ma so.n
puro: è possibile? È, se anche non è possibile. Io vplevo, io voglio la
sua felicità: non altro senso poteva avere qu.ell'incendiq. Esso era la
viva testimonianza. di un ineluttabile bene, fosse pur doloroso da raggiungere
(ma non è cosl di tutti i beni?) e insieme la precisa indicazione
di una. benché osCU:ra prova da affrontare; altro senso non poteva
avere ... Una notte la abbracciai, la baciai; e vidi tristemente, giubilando,
che era a questo preparata . . Ma sul momento fuggi: sarebbe,
dopo questo, tornata? Tornò.
442
Tornò la sera dopo. Non ebbe esitazioni: subito la sera dopo. E
qui comincia quello che vorrei capire e non capirò, già lo vedo.· Altro
non posso fare che riferir tutto senza pietà. E a che serve? O forse la
mia logica, non . oso dire la mia giustificazione, è nei fatti medesimi?
forse per ciò solo .che ho fatto quello che ho fatto son salvo? forse il
fatto o l'evento sr. giustifica da sé? Può darsi: proviamo. Ecco, parlerò a
caso, farò il silenzio dentro di me e lascerò che la penna corra a sua posta;
forse.dalle mie parole sprizzerà una mostruosa, una fi,ùgida verità.
Fulgida e mostruosa! è da ridere. O no? non potrebbe, non dovrebbe
essere fulgido ciò che è mo5;truoso e mostruoso dò che .è fulgido? non
sarebbero questi i due elementi necessari di un'unica immagine, o meglio
i due volti della necessità medesima? e non sarebbe la verità necessaria
quanto vera la necessità, non sarebbero verità e necessità una sola
cosa? ... Ah illusione, che da queste pagine venga fuori alcunché. Pure,
io son giunto ormai. Ho indugiato quanto ho potuto sull'irrilevante,
ho rimandato, ho perfino tentato di convincermi (qui sopra) che davvero
qualcuno o qualcosa d travolgesse; ma son giunto ormai; d sono,
non posso più sott??armi. Viene sempre il momento in cui ci si trova di
fronte ... a che o a chi? a se stessi, alle proprie azioni, alla propria coscienza?
Almeno a quell'ignoto che d fa noi stessi.
. Le sue mammelle erano bocciuoli semiaperti: quando il fiore rosso
prigioniero spinge appella fuori il capo, timido, attonito e già trionfante.
E tutta lei, miracolo sempre nuovo, et:a spaccata come unp. melagrana.
Nel pallido ventre s'incavava e implicava con dolcezza supremamente
indifesa l'orecchio segreto; e laggiù sul soffice avorio, avara un
tanto ancora ma già gelosamente intricata nel mezzo, sui labbri dell'antica
.ferita, arricciolata, buffamente partita e ravviata sull'alto, brillava
quella piccola chioma. Notturni archetipi di dò che esplode e si spampana
nella luce del giorno, e si concede, ,ad ogni passante del trivio: l'orecchio,
i capelli, la bocca... . . .
Smarrito, anelante, e ridicolmente abbottonato fino al collo nei
miei panni, lo restavo davanti a .lei silenzioso, immemore, quasi senza
desiderio: troppo gral}de, incommensurabile a tutto era il mio desiderio,
come a tutto incommensurabile era questo corpo di giovinetta che
lo accendeva e se ne faceva bello; bello, non lubrico, .e ancor più innocente,
Se fin dal principio m'era stato chiaro che ella dqveva essere
mia, ora ben vedevo che non poteva essere mia. La forma che mi stava
innanzi palpitante della sua anima era un oceano set,1za fondo, un deserto
incolmabile, improbabile, abbagliante su cui non v'erasperanza
di posa, di cui non v'era speranza di possesso. Che cosa avrei dovuto
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fare, penetrare colla mia carne infetta quelle membra eterne come la
luce, feconde come la polvere degli astri, inesauribili coine la fonte nascosta
della vità? A che poteva giovarmi un tal sordido ripiego? Non
era questo che io volevo, non era con questo che l'avrei avuta .. E supponendo
pure che avessi con questo calmato per un breve attimo la
mia ignota sete, non era e non sentivo qui incluso, come una condanna
inoppugnabile, il poi? il poi, quando per forza stessa del mio a:tto volgare,
sciocco, insufficiente, ella e la mia vita medesima si sarebbero
gradatamente allontanate e ritirate da me? - Si può possederel'oceano
e il deserto? e se mai come? Tale era la domanda, senza fondo al
pari dell'oceano, che tornavo a pormi. Ma non a pormi: che udivo mio
malgrado risonare e tremare nelle mie fibre. Si può almeno di essi godere?
e come?
Eppoi era muta. Una particolarità fisica, certo; che poté di lla un
momento favorirmi colla sua stessa presenza e solo con essa, giacché in
realtà ella non ebbe neppure occasione di parlare. Ma non è questo
che voglio dire, chiedo invece: perché era muta? Niente è a caso: lei
perché era muta? Che cosa significava il suo silenziò in quanto involontario
e fatale? E rispetto a me stesso, che cosa era? un'accusa, un'indicazione,
il segno di un'acquiescenza, cosa? un invito forse, una conclusione,
un suggello? Queste folli associazioni che, in risposta a non
meno folli domande, mi si componevano nel capo parevano tuttavia
sempre più serratamente approssimate, parevano stringere sempre più
da presso un senso, o meglio una parola, come appunto quando se ne
cerchi una da adattare perfettamente a qualche nostra idea o a qualche
nostro sentimento. Ma la parola mi sfuggiva, mi fuggiva anzi: con
scherno, sto per dire con fischio mefistofelico. Sarebbe essa stata, anébra
una·volta: Necessità? Necessità in assoluto, come qualità astratta
dell'animo, al pari della bontà, della generosità, della nobiltà; qualità
al di fuori di ogni forza causale, senza segno; qualità impartedpe, in attesa
essa medesima di direzione, di violenza ... Capisco che, cosi parlando,
son folle ora quanto allora. Eppure qualcuno ha detto «Muto
come il destino»; impartecipe, ·questa mutezza o necessità, eppure io
ne sentivo la pressione, sebbene non sapessi verso che cosa.
Mi sentivo perduto, meritre lei mi guardava quasi tranquilla, appena
un poco imporporatà, nascondendo e piuttosto per gioco colle
mani alcuna parte del corpo: doveva pensare che avevo voluto soltanto
vederla, e per la sua stessa natura di giovinetta non d trovava tròppo
da ridire. Un tremito infrenabile mi scoteva. Ed ecco dentro di me
prese a grandeggiare, a gonfiarsi qualcosa di sconosciuto, di mostruosb
e radioso, di sinistro e di ineffabilmente sereno, d'abbruciante e d'etereo
(quasi maligno e vivificante orbe solare), che a tratti scoppiava in
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clangori assordanti, incalzanti, o si frangeva in echi infiniti e lontani.
Ignoravo cosa fosse quella interna fioritura, e tuttavia l'angoscia dell'i·
gnorarlo non mi toglieva la strana pace, la sorta di felicità che m'erano
sorte nell'anima con essa. Che poteva essere ciò se non un'occulta risposta
alle mie disperate domande, al mio desiderio senza unghie? Un
momento prima· in me non era che un arido e desolato vuoto, un
niente: adesso era un tutto, cui solo rimaneva da dare un nome. Ma
farlo diveniva d'attimo in attimo più urgente, e quest'ansia rapidamente
ritravolgeva ogni pace. Una potenza celeste amica m'aveva dato
cenno che c'era, che poteva darsi un modo per fare mia compiuta·
mente ed eternamente quella bambina; ma non si dichiarava. Mi sentivo
soffocare: dovevo capire.
E capii: d'un tratto. D'un tratto ogni cosa mi fu chiara. E fu come
uno sciogliersi, un rompere di campane: terrore, ribrezzo, gioia, vo·
luttà e mille altri sentimenti che dormono, che nessuno forse ha nominati,
si confusero in quello scampanio dell'anima, sensibile perfino all'udito.
Ora sapevo ciò che dovevo fare. E sapevo che dovevo farlo subito.
Non sapevo;è vero, come dovevo farlo: ero condannato, quella
notte, non dirò ad agire, ma a pensare, a sentire per approssimazioni
successive.
Mi guardava col suo sguardo d'ombra, di tra le ciglia, un po' delusa
forse, o forse perduta in una malinconia da giovinetta; e certo si disponeva
a levarsi e ad andarsene. Presi dalla seggiola una delle sue calze,
gliela passai carezzevolmente intorno al collo.
«Sai che potrei ucciderti, cosi?» e strinsi un poco.
Rise nervosamente portandosi le mani alla gola; strinsi più forte,
fece col viso un cenno o una smorfia che, a non essere ella muta, sarebbe
stato uno «Oh» senza particolare intenzione, o se mai di giocoso
fastidio, non di turbamento. Strinsi ancora un tantino ... In realtà era
una, prova che Stavo facendo; e vidi bene che non cosl dovevo procedere,
che cosi non avrei ottenuto nulla, cioè nulla compito. Non era
quella l'immagine voluta, che potesse prendere il suo posto risolutivo
nel subbuglio della mia mente e dei miei sensi, placare me e tutto; non
era quella l'immagine di pace (dell'anima mia). E quale era, la verace?
Questo nuovo problema mi aggredi con violenza, abolendo ogni altro
sentimento; la lasciai, e mi guardavo intorno sbigottito cercando l' oggetto
con cui l'avrei uccisa, e non lo trovavo. Lei sospirò, e d'improvviso
ebbe. freddo, o fu percorsa, benché ignara, da un brivido non di
freddo; chiuse gli occhi, si tirò addosso il lenzuolo fino al melito. La
vidi già nel suo sudario, e dò forse, indire'ttamente, affrettò la sua fine.
Ma in ogni caso quel sudario era bianco, e non poteva, non doveva esser
tale. Al tempo stesso soffrivo per lei, per la sua imminente soffe-
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renza, avrei voluto evitargliela, avrei voluto che non si avvedesse di ...
Come invero potevo sperare che lei, una bambina ancora, accettasse
gioiosamente la morte quale supremo compimento? O potevo, o la calunniavo?
E qui un??idea folle, puerile, non so donde o per quale forsennata
associazione sorta, mi attraversò la testa.
«Guarda,» dissi «lo sai che con questo dito, col mio indice qui; io
posso tagliare e ferire? Soltanto col dito, senza bisogno d'altro. Non ci
credi? sta' a vedere, dammi la tua mano.»
Trasse la mano, mi porse il suo proprio indice scarno, leggermente
torto.
«Ora attenta,» soggiunsi prendendolo colla sinistra «io fregherò il
mio dito sul tuo, e tra un momento ti sentirai tagliare. Ossetva, non ho
null?? in mano; allora, sei pronta?» . .
E uno scherzo che. si fanno i ragazzi ma. che lei, come avevo spe??
rato, non conosceva: mentre si tiene colla sinistra il dito dell'altro e lo
si frega coll'indice della destra, si va esercitando coll'unghia del pollice
(della sinistra medesima, unghia nascosta dal dito appunto che frega)
una pressione sempre più .sensibile sul dito fregato, e la vittima dello
scherzo, la cui attenzione è concentrata sul moto di quella limatura, finisce
coll'associare ad essa il dolore inferto invece dall'unghia. E sicché
fregai il suo indice al modo testé detto, e dopo pochi istanti, storcendo
la bocca per dolore e fors'anche per ammirazione, ella ritirò vivacemente
la mano.
«Hai visto, hai visto?»
Non rispose nulla, e di nuovo la sentii sul punto di levarsi e d'andare;
era assai tardi, l'alba non doveva essere lontana.
«Sai, è uno scherzo, poi te lo spiegherò. Ma ora, prima che tu vada
via (perché, si capisce, devi andare, se no domani a scuola cascherai dal
sonno) stendiamoci cinque minuti qui, uno accanto all'altra, senza far
nulla di male. Vuoi? ... Spepgiamo la luce, si sta meglio, al buio ognuno
può vedere quello che gli piace. Solo cinque minuti.»
Appena fummo al buio e prima di raggiungerla sul letto, allungai
la mano verso i1 canterano. Sapevo bene dov'era, in quale precisa posizione,
ciò che cercavo: una lametta da barba usata . .La mattina l'avevo
buttata li perché non si sa mai come disfarsene, d'un oggetto del genere:
a gettarla tra i rifiuti avevo avuto paura che lo spazzaturaio ci si
ferisse, cuor tenero! Usata e sfilata in parte, ma abbastanza tagliente
ancora per i miei scopi... Un'idea folle, puerile, l'ho già detto: se ne
può immaginare una più malaccorta? Potevo davvero credere che non
si sarebbe avveduta di nulla?
«Che vedi? Ma già, tu non puoi dirmelo al buio. Ebbene, io vedo ...
446
vedo un fiordo. Lo sai che cosa è un fiordo? Come sono alte le montagne
che lo chiudono, lò. stringono e lo strozzano, e tutte di roccia. E
l'acqua laggiù in fondo è bruna, d'acciaio; non come il lago deLtuoi occhi,
che è di notte addirittura. No: qui, guarda, perfino, di quassù,
sporgendoci, possiamo vedere la nostra immagine riflessa; piccola, si
sa ... Folle di topi·, questi loro topi, vengono ogni tanto a morire qui,
non si sa perché: si buttano nell'acqua, si uccidono da se stessL. E su
questo fiordo una volta, tanto tempo fa, è passato a volo un uomo che
cavalcava una. capra, e forse le donne sui cavalli celesti ci passano ancora;
ma chi ormai può vederle? Noi, le vedremo, a noi sarà· dato,
credo io: eh?»
La sentivo fremere, seguirmi: suprema vertigine, gioia più fonda,
più misteriosa, più desolata del fiordo.
«Ma di', se ci buttassimo di quassù: eh, che succederebbe? Pensa
che volo, che felicità forse: in un volo senza più tempo, senza più dolore,
noi andremmo a raggiungere le nostre immagini li in fondo; oppure
d sembrerebbe di salire, di elevarci velocemente in cielo, perché
nell'acqua è il cielo, ci son le nuvole che corrono, sebbene come
spiante e brunite, c'è ... » .
Dio mio, perché questo? Non dovevo !asciarmi andare cosi, dovevo
... Dovevo.
«Ma basta; ora non vedo più nulla. Senti invece: io con questo
stesso dito potrei addirittura tagliarti le vene, lo sai? Eccola che al solito
non ci crede ... » e le presi il polso.
Me lo abbandonò senza alcun sospetto, mollemente: .esile, fragile
nella mia mano.
«Attenta, attenta!» Era il giocoso avvertimento di prima, ed era al
tempo stesso un avvertimento terribile, gridato dalle mie viscere medesime,
da tutti gli invisibili oggetti circostanti, per un pericolo reale ed
atroce.
Presi a fregarle il polso: col dita, come prima, ma ora non l'unghia
dell'altro pollice incideva la sua pelle. La incideva, la tagliava, la tagliò
quella mia piccola lama, e decisamente, d'un colpo, recise anche le sue
vene. Ella dette in un grido .soffoc11to e gutturale, ritrasse la mano,
parve poi calmarsi; ma di li a un . attimo dovette sentirsi bagnata e
balzò convulsamente a sedere; stava certo per accendere la lampada sul
comodino. Ebbene no, non doveva: non doveva perché non doveva,
ossia per se medesima e per l'orrore che avrebbe provato al vedersi
cosi. Ma ormai non più a questo avevo mente, ormai s'era in me scatenato
tutto quanto di tristo, d'informe, d'ignoto, di, feroce .e di trionfante
può capire in un uomo; ed anche tutto quanto di libero, di giubilante,
di benefico, di giusto, d'ineffabile. e celeste. Non già schiava di
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ciechi istin:ti era l'anima mia, ma al contrario francata nella sua necessità;
oh intendimi, chi mai leggerà queste pagine, non francata dalla,
ma nella sua necessità (forse la stessa che vigilav11 l'anima sua?). Ciò
che fu non pnteva nori essere.
In quella nera stanza vibrai colla mia fragile arma colpi furiosi. Cominciai
dalla gola; che trovai e abbrancai alla prima; e poi giù giù, sul
cedevole seno, sul pallido ventre, sulle cosce ancora nervose, sulle
braccia vanamente protese, sulle mani di perla, dappertutto. Ma una
volontà superstite o una forza oscura torceva la mia mano dal suo viso;
una sola volta essa incontrò l'umida lingua e non seppe rattenersi.
Quel corpo idolatrato doveva esser divenuto una sola, acuta piaga.
Ed ella, senza quasi difendersi, gridava, gridava alla sua maniera, gemeva;
ma ben presto tacque, e mi rimase sul braccio assai più pesa che
non fosse stata da viva. E allora, solo allora ebbi pace.
Non accesi subito la luce, non volevo vederla cosi; al buio trassi su
lei fino al mento il lenzuolo, come ella stessa aveva fatto poco prima.
Bagnato, anch'esso pesante, il lenzuolo. Indugiai ancora, forse per
lungo tempo; risi; piansi, o ... o che? v'era espressione possibile pèr .il
mio strazio e la' mia esultanza? Del resto non so cosa feci. Infine accesi:
ecco, ora il suo sudario era tutto rosso. Bianco non m'era piaciuto;
cosi, cosi appunto lo volevo. Ed ecco, intatta nel suo volto di notte e
di stella, ora ella era mia eternamente.
Ma già, a risucchio, come quando il vortice attrae i galleggianti detriti,
la realtà trita e volgare, il terrore, l'orrore, la realtà dico, rientrava,
si riprecipitava rombando in me. Questa però è altra storia.
III
Bene: e son giunto, rifigurandomi queste cose, a scagionarmi?
Certo, il mio fu uno stato di necessità (non come lo intendono loro);
ma sòn perciò meno colpevole? Non sono tutti i motivi che si potrebbero
addurre, che essi hanno addotto contro di me a preoccuparmi,
giacché lei non era diversa cosa da me, e io da lei. Altro mi rende perplesso,
e propriamente l'ora detto. Non perplesso, certo della mia
colpa. Via, se è vero tutto quanto si può supporre taciuto qui sopra (e
che non formulo distintamente, ·tanto sono ormai convinto della sua
vanità), perché non sono io morto nel punto stesso della sua morte?
Potevo ucddermi, e non lo avrò fatto per viltà; ma questo non c'entra.
Che dunque m'ha tenuto in vita, perché non s'è compita la sorte? Ah:
'perché, fosse pure ella non diversa cosa da me, io ero diversa cosa da
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lei, non v'è altra spiegazione. Ma, se io ero diversa cosa da lei, lei stessa
doveva essere diversa cosa da me ... O insulsa logica, ma quale inaspettato
vigore tu acquisti se ti allei ai più segreti sensi!
E se era altra cosa da me, io non avevo il diritto di ucciderla (sarebbe
mai vero che per una via così tortuosa si tornasse a ciò che essi
pensano per merà insipiertza?). E se non avevo il diritto di ucciderla
son colpevole. E se son colpevole, per me non c'è modo di morire.
Ma morirò egualmente. E invero voglio qui osservare, per diletto
ed edificazione di colui al quale dopo la mia morte saranno consegnate
queste carte (il giudice senza dubbio) due o tre cose alla rinfusa.
La prima: ci si può mai scagionare davanti a se stessi (del giudizio
altrui non mi importa) senza prima capire? non è, ovviamente, ogni
giustificazione condizionata da una comprensione, da una comprensione
totale? Ed ecco, questo soltanto, capire, ho cercato di fare scrivendo
questi fogli. E non ho capito. Niente, mai, si capisce; donde che
niente si può giustificare. Con che cuore taluno stabilisce il legittimo e
l'illegittimo? Pensate: essi dovrebbero capire di me ciò che io stesso
non capisco.
La seconda: è proprio necessario trovare il modo di morire, saper
morire, per morire? Lei ad esempio, di sicuro non sapeva morire, eppure
è morta. E ridicolo, è assurdo se volete, ma è cosi: si fa un che che
non si sa fare. Non dovrebbe esser sufficiente, dico io, il fatto che non
lo si sapesse fare perché quel che addirittura non si producesse? E invece
no: cosa pensarne? Si potrebbe in questo scorgere l'intervento di
qualche cieca e avversa o sommamente benefica forza: ove però fosse
dimostrata la necessità della morte. E quale indegno fidente o fedele
giungerebbe a tanto? Ingozzare è quanto resta a lui stesso. Comunque
è quasi divertente.
La terza: è in fondo una mia mera ipotesi che all'innocente sia più
facile morire, anzi che egli solo possa trovare il modo per farlo. E se
non fosse vero per nulla? Pensate tra l'altro in che luce verrebbero a
trovarsi sia gli sforzi del preteso innocente per essere e serbarsi tale, sia
i miei qui per tale riconoscermi: che ameno armeggiamento, che scempiaggine
generale. Il che poi, cioè che potrebbe non esser vero, è per
me confortante ... o no? Cosa starebbe a significare, semplicemente che
a tutti è nello stesso modo di'ficile morire, o che nessuno è innocente?
La quarta: ho dimenticato di dire (o forse l'ho fatto di proposito)
che ho cinquanta anni. Cinquanta anni. Importa ciò? aggrava la mia
colpa, o no?
La quinta e credo ultima: niente di quello che ho detto è vero.
Non perché non sia vero, ma perché l'ho detto.
Ed ho finito ... O dovrei consegnare qui l'ultima domanda e quasi
affermazione, la più atroce, la più segreta e bruciante, e forse ad ogni
altro inintelligibile? Ma si, perché no: devo toccare il. fondo. Sarebbe
mai vero, chiedo dunque, che neppure la morte bastasse? Ove ciò
fosse, · io sarei innocente, come colui che abbia almeno fatto tutto
quanto era in suo potere; e tuttavia, ne vada la salute della mia anima,
non vorrei che fosse, non voglio che sia. Neppure la morte basta alla
vita e all'eternità (se è questo che voglio dire): e che cosa ci vuole allora?
o dove altrove troveremo .il vero, il necessario?
Ho finito, ho finito: per pietà di me stesso. E, ci sia o non ci .sia
modo, sappia o non sappia io farlo, sia giusto o ingiusto, sufficiente o
insufficiente ...
Vengono; vengono. No, non vengono ancora.
Ma se non vengono verranno.
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