domenica 28 gennaio 2018




IL TAGLIACARTE.

Era una calda, secca e abbagliante giornata di luglio che lo faceva sentire come se tutti i germi e i peccati che aveva dentro bruciassero e gli venissero perdonati per sempre. Lowell Swift, venditore di linoleum in un grande magazzino, stava tornando a casa dal lavoro in autobus. Quel giorno segnava la fine del suo settimo anno di matrimonio con Madelaine, che aveva la macchina e che, in effetti, ne era la proprietaria. Nella lunga scatola verde che portava sottobraccio Lowell aveva delle rose rosse.
L'autobus era affollato, ma non c'erano donne in piedi, e così Lowell aveva la coscienza a posto. Si mise comodo e fece crocchiare distrattamente le nocche, pensando a sua moglie e perdendosi in piacevoli fantasticherie.

Era un uomo alto e diritto con due sottili baffetti color sabbia che avrebbe voluto essere un colonnello britannico. Da lontano, sembrava che questo desiderio fosse stato esaudito sotto tutti gli aspetti tranne l'uniforme. Lowell aveva un'aria distinta e decisa. Ma gli occhi erano quelli di un pensoso mendicante, smarrito, confuso, straordinariamente disponibile. Era intelligente e in buona salute, ma così corretto e mite da trovarsi a mal partito sia come capofamiglia che come accumulatore di ricchezza.
Madelaine, un giorno, lo aveva dipinto così: come un uomo ritto sulla sponda del grande fiume della vita, che sorride e dice: «Pardon», «Dopo di lei» e «No, grazie».
Madelaine era un'agente immobiliare e guadagnava molto più di Lowell. A volte ci scherzava su con lui. Lowell poteva solo sorridere amabilmente, e dire che comunque, in ogni caso, lui non si era mai fatto dei nemici e che, in fondo, Dio aveva creato lui proprio come aveva creato Madelaine: presumibilmente, con qualche buona prospettiva.
Madelaine era una bella donna e Lowell non aveva mai amato nessun'altra. Senza di lei sarebbe stato perduto. Certi giorni, mentre tornava a casa in autobus, si sentiva spento e impotente, stanco: aveva paura che Madelaine lo lasciasse e non le dava torto se avesse avuto voglia di farlo.
Questo, però, non era uno di quei giorni. Lowell si sentiva magnificamente. Oltre a essere l'anniversario del suo matrimonio, era un giorno condito di mistero. Il mistero non aveva nulla di inquietante, a quanto Lowell poteva vedere, ma era abbastanza sconcertante per far sì che si sentisse coinvolto in una piccola avventura. Il mistero gli avrebbe regalato, a lui e Madelaine, qualche minuto di solleticanti illazioni. Mentre aspettava l'autobus, qualcuno gli aveva tirato un tagliacarte.
L'oggetto veniva, pensò, da una macchina di passaggio o da uno degli uffici nel palazzo di là dalla strada. Lowell non l'aveva visto finché non si era fermato sul marciapiede davanti alle punte aguzze delle sue scarpe nere. Si era guardato intorno rapidamente senza vedere chi lo aveva tirato; lo aveva raccolto cautamente, e aveva scoperto che era caldo e molto leggero. Il colore era argento bluastro, la sezione ovale e il disegno modernissimo. Era un sol pezzo di metallo, apparentemente cavo, molto appuntito a un'estremità e smussato all'altra, con una singola pietruzza simile a una perla nel punto mediano per dividere la lama dall'impugnatura.
Lowell lo aveva subito identificato come un tagliacarte perché spesso aveva notato un oggetto come quello nella vetrina di un negozio di coltelli davanti alla quale passava tutti i giorni mentre andava e veniva dalla fermata dell'autobus in centro. Aveva fatto un tentativo di individuarne il proprietario tenendo il coltello sopra la testa e guardando da una macchina all'altra e da una finestra degli uffici all'altra, ma nessuno aveva risposto alle sue occhiate come per reclamarne la proprietà. Così Lowell se l'era messo in tasca.
Guardò fuori dal finestrino e vide che l'autobus stava percorrendo il tranquillo viale ombreggiato dagli olmi dove Lowell abitava con Madelaine. I palazzi signorili, anche se ormai divisi in lussuosi appartamenti, esternamente erano sempre maestosi palazzi signorili. Senza i soldi di Madelaine sarebbe stato impossibile vivere in un posto come quello.
La prossima fermata era la sua, proprio davanti al bianco colonnato della casa in stile coloniale. Madelaine doveva essere in attesa dell'autobus, affacciata a una finestra dell'appartamento al secondo piano che una volta era una sala da ballo. Eccitato come uno studente innamorato, Lowell tirò la funicella e alzò lo sguardo cercando il suo viso in mezzo al verde lucido dell'edera che avvolgeva il frontone. Non c'era, e Lowell pensò allegramente che stesse mescolando i cocktail dell'anniversario.
«"Lowell"» diceva il biglietto infilato nella cornice dello specchio nell'ingresso. «"Sono fuori a cena con un probabile cliente per la proprietà Finletter. Incrocia le dita, Madelaine."»
Sorridendo malinconicamente, Lowell depose i fiori sul tavolo e incrociò le dita.
L'appartamento era molto silenzioso, e in disordine. Madelaine era uscita in fretta. Lowell raccolse il giornale del pomeriggio, che era aperto sul pavimento insieme a un barattolo di colla e a un album, e lesse i brandelli lasciati da Madelaine, articoli che non avevano niente a che fare con il mercato immobiliare.
Dalla sua tasca venne un breve sibilo sommesso simile al suono di un bacio frettoloso o al rumore che si fa quando si apre un barattolo di caffè sottovuoto.
Lowell ficcò la mano in tasca e ne tolse il tagliacarte. La pietruzza nel punto di mezzo era venuta via, lasciando un forellino rotondo.
Lowell depose il tagliacarte sul cuscino accanto a lui e si frugò in tasca cercando il fronzolo mancante. Quando l'ebbe trovato, rimase deluso nello scoprire che non era affatto una perla, ma un emisfero concavo di un materiale che poteva essere plastica.
Quando tornò a concentrare l'attenzione sul tagliacarte, fu travolto da un'ondata di ripugnanza. Un insetto nero lungo cinque o sei millimetri stava uscendo dal forellino. Poi ne uscirono degli altri, finché furono in sei, stretti insieme in un avvallamento del cuscino fatto un momento prima dal gomito di Lowell. I loro movimenti erano lenti e goffi, come se gli insetti fossero scossi e storditi. Poi sembrarono addormentarsi nel loro poco profondo rifugio.
Lowell prese una rivista dal tavolino, l'arrotolò e si accinse a schiacciare quegli antipatici animaletti prima che potessero deporre le uova e infestare l'appartamento di Madelaine.
Fu allora che vide che gli insetti erano tre uomini e tre donne, perfettamente proporzionati e coperti da una specie di lucida calzamaglia nera.

Al tavolino del telefono nell'ingresso Madelaine aveva attaccato con il nastro adesivo una lista di numeri telefonici: i numeri del suo ufficio, di Bud Stafford, il suo capo, del suo avvocato, del suo broker, del suo medico, del suo dentista, del suo parrucchiere, della polizia, dei pompieri e del grande magazzino dove lavorava Lowell.
Lowell passò il dito sulla lista per la decima volta, cercando il numero della persona giusta con cui parlare dell'arrivo sulla terra di sei esserini alti cinque o sei millimetri.
Come avrebbe voluto che Madelaine fosse in casa!
Con qualche titubanza fece il numero della polizia.
«Settimo distretto. Parla il sergente Cahoon.»
Il tono della voce era sbrigativo, e Lowell rimase sbigottito dall'immagine di Cahoon che gli si affacciò alla mente: rozzo e maldestro, con i piedi piatti, e con una pistola così grossa che in ogni camera spalancata del tamburo c'era posto per cinquanta esserini.
Lowell rimise la cornetta sulla forcella senza dire una parola a Cahoon. Cahoon non era la persona giusta.
Tutto gli sembrava all'improvviso assurdamente enorme e brutale. Tirò fuori il pesante elenco telefonico e lo aprì alla voce «Governo degli Stati Uniti». «Dipartimento dell'Agricoltura... dipartimento della Giustizia... dipartimento del Tesoro»: ogni indicazione aveva un suono di cose gigantesche e assolutamente sproporzionate. Lowell chiuse il libro, smarrito.
Chissà quando sarebbe rincasata, Madelaine.
Guardò nervosamente il divano e vide che gli esserini, che per una mezz'ora erano rimasti immobili, cominciavano ad agitarsi, a esplorare lo sdrucciolevole terreno color prugna e la flora delle nappine del cuscino. Presto furono bloccati di colpo dalle pareti della campana di vetro che Lowell aveva preso dall'orologio antico di Madelaine sulla mensola del caminetto e calato su di loro.
«Che diavoletti coraggiosi,» disse Lowell tra sé, meravigliato. Si congratulò con se stesso per la calma e la ragionevolezza con cui trattava quelle creaturine. Non si era fatto prendere dal panico, non le aveva uccise e non aveva chiesto aiuto. Dubitava che molta gente avrebbe avuto tanta immaginazione da ammettere che quegli esserini erano veramente esploratori venuti da un altro mondo, e che quello che sembrava un tagliacarte era in realtà una nave spaziale.
«Se stavate cercando qualcuno, credo proprio che abbiate scelto la persona giusta,» disse loro a bassa voce da lontano, «ma mi venga un accidente se so cosa fare di voi. Se si sparge la voce che siete qui, sarà un macello.» Poteva immaginare il panico e la folla in tumulto davanti al loro appartamento.
Mentre Lowell si avvicinava agli esserini per dar loro un'altra occhiata, attraversando silenziosamente la moquette, dalla campana di vetro venne un tintinnio: all'interno uno degli uomini continuava a girare in tondo battendo sul vetro con una specie di attrezzo, cercando un'apertura. Gli altri erano tutti presi dall'esame di un frammento di tabacco che uno di essi aveva tirato fuori da sotto una nappina.
Lowell alzò la campana di vetro. «Ehi, voi,» disse gentilmente.
Gli esserini si misero a urlare, mandando suoni simili alle note acute di un carillon, e corsero verso il crepaccio dove il cuscino incontrava la spalliera del divano.
«No, no, no, no,» disse Lowell. «Non abbiate paura, piccini.» Puntò un dito per fermare una delle donne. Mentre la guardava vide con orrore partire dal suo dito una scintilla che colpì la donna e la fece cadere, in un mucchietto grande come il seme di una campanella dei giardini.
Gli altri erano spariti disordinatamente dietro il cuscino.
«Dio santo, cos'ho fatto, cos'ho fatto!» disse Lowell, disperato.
Corse a prendere una lente d'ingrandimento dalla scrivania di Madelaine, e con essa studiò il corpicino immobile. «Mamma mia, mamma mia,» mormorava.
La sua agitazione raddoppiò quando vide com'era bella quella donna. Somigliava un po' a una ragazza che aveva conosciuto prima di incontrare Madelaine.
Le palpebre della donna tremarono e si aprirono. «Sia ringraziato il cielo,» disse Lowell. La donna lo guardava, terrorizzata.
«Ecco,» disse vivacemente Lowell, «così va meglio. Io sono vostro amico. Non voglio farvi del male. Dio sa che è vero.» Sorrise e si fregò le mani. «Voglio offrirvi un banchetto per darvi il benvenuto sulla terra. Cosa vi piacerebbe? Cosa mangiate voi piccini, eh? Qualcosa troverò.»
Corse in cucina, dove piatti sporchi e argenteria erano disordinatamente ammassati sul piano del banco. Ridacchiando tra sé riempì un vassoio di bottiglie, vasetti e lattine che ora gli parvero enormi, vere e proprie montagne di cibo.
Fischiettando un allegro motivetto, Lowell portò il vassoio nel soggiorno e lo depose sul tavolino da tè. La donna non era più sul cuscino.
«Allora, dove siete andati, eh?» disse Lowell lietamente. «So, so dove trovarvi, quando sarà tutto pronto. Oho! Nientemeno che un banchetto da re. »
Usando la punta di un dito, descrisse un cerchio di rapidi tocchi intorno al centro di un piattino, lasciandovi mucchi di burro di arachidi, maionese, margarina, briciole di prosciutto, mascarpone, ketchup, pâté di fegato, gelatina d'uva e zucchero inumidito. All'interno di questo cerchio mise gocce separate di latte, birra, acqua e succo d'arancia.
Sollevò il cuscino. «Venite a mangiare, o butto la roba per terra,» disse. «Ora... dove siete andati? Vi troverò, vi troverò.» Nell'angolo del divano, al posto del cuscino, c'erano un quarto di dollaro e una moneta da dieci cent, un fiammifero di carta e la fascetta di un sigaro, una fascetta della marca di sigari che fumava il boss di Madelaine.
«Eccovi qua,» disse Lowell. Diverse paia di piedini spuntavano da sotto il mucchio di detriti.
Lowell raccattò le monete, lasciando i sei esserini abbracciati fra loro e tremanti. Mise la mano davanti a loro, con il palmo rivolto all'insù. «Forza, adesso, salite a bordo. Ho una sorpresa per voi.»
Non si mossero, e Lowell fu costretto a spingerseli sul palmo della mano con la punta di una matita. Li alzò in aria e li scaricò sull'orlo del piattino come tanti semi di cumino.
«Vi offro,» disse, «il più grande buffet della storia.» I mucchietti erano tutti più alti degli invitati.
Trascorsero parecchi minuti prima che gli esserini trovassero il coraggio di riprendere le loro esplorazioni. Ben presto l'aria intorno al piattino si riempì di acute grida di gioia, mentre veniva scoperta una manna dopo l'altra.
Con la lente d'ingrandimento Lowell guardava, felice, le facce sollevate verso di lui con espressioni di immensa gratitudine.
«Assaggiate la birra. Avete assaggiato la birra?» disse Lowell. Ora, quando parlava, gli esserini non lanciavano più grida di terrore ma ascoltavano attentamente, cercando di capire.
Lowell indicò la goccia ambrata, e rispettosamente l'assaggiarono tutti e sei, sforzandosi di mostrare che l'apprezzavano, ma senza riuscire a nascondere il loro disgusto.
«La si apprezza con il tempo,» disse Lowell. «Imparerete. Vedrete che...»
La voce si spense, senza finire la frase. Fuori si era fermata una macchina, e quella che salì, fluttuando nella sera d'estate, era la voce di Madelaine.
Quando Lowell voltò le spalle alla finestra, dopo aver visto Madelaine baciare il suo boss, gli esserini erano in ginocchio davanti a lui e stavano cantando qualcosa di fievole e dolce.
«Ehi,» disse Lowell, raggiante, «cos'è questo? Non ho fatto niente di straordinario. Davvero. Sentite, io sono un uomo qualunque. La persona più comune della terra. Non fatevi l'idea che io sia...» Era talmente assurdo che Lowell scoppiò in una risata.
Il canto continuò, ardente, implorante, adorante.
«Attenti,» disse Lowell quando sentì Madelaine salire le scale, «dovete nascondervi finché non avrò deciso che fare di voi.»
Si guardò intorno rapidamente e vide il tagliacarte, la nave spaziale. La depose accanto al piattino e di nuovo li punzecchiò con la matita. «Forza, tornate a nascondervi qua dentro per un po'.»
Gli esserini sparirono nel buco, e Lowell rimise a posto il portello perlaceo nel preciso momento in cui Madelaine entrava nella stanza.
«Ciao,» disse allegramente. Poi vide il piattino. «Hai avuto ospiti?»
«Nel mio piccolo,» disse Lowell. «E tu?»
«Si direbbe che tu abbia invitato qualche topo.»
«Ogni tanto mi sento solo, come tutti,» disse Lowell.
Lei arrossì. «Mi spiace per l'anniversario, Lowell.»
«Non c'è problema.»
«Mi è venuto in mente solo mentre tornavo a casa, qualche minuto fa, ed è stata una mazzata.»
«L'importante,» disse Lowell amabilmente, «è... Vi siete messi d'accordo?»
«Sì... sì, affare fatto.» Madelaine sembrava inquieta, e quando trovò le rose sul tavolino nella hall stentò a sorridere. «Come sono belle.»
«L'ho pensato anch'io.»
«Cos'è quello che hai lì, un coltello nuovo?»
«Questo? Sì... l'ho trovato mentre tornavo a casa.»
«Ci serviva?»
«Mi piaceva. Ti secca?»
«No... per niente.» Guardò Lowell, a disagio. «Ci hai visti, non è vero?»
«Chi? Cosa?»
«Mi hai visto mentre baciavo Bud, fuori, un minuto fa.»
«Sì. Ma non è la fine del mondo.»
«Mi ha chiesto di sposarlo, Lowell.»
«Oh. E tu cos'hai detto?»
«Ho detto di sì.»
«Non immaginavo che fosse così semplice.»
«Lo amo, Lowell. Voglio sposarlo. Devi proprio giocherellare con quel coltello?»
«Scusa. Non me n'ero accorto.»
«Allora?» disse umilmente lei dopo un lungo silenzio.
«Credo che quasi tutto ciò che doveva essere detto sia stato detto.»
«Lowell, sono terribilmente dispiaciuta...»
«Per me? Sciocchezze! Nuovi mondi si sono aperti davanti a me.» Lentamente le si avvicinò e la cinse con un braccio. «Ma ci vorrà un po' di tempo per abituarsi, Madelaine. Un bacio? Un bacio d'addio, Madelaine?»
«Lowell, ti prego...» Voltò la testa e tentò di respingerlo, gentilmente.
Lui la strinse più forte.
«Lowell... no. Basta, Lowell. Lowell, mi fai male. Ti prego!» Gli diede un pugno sul petto e si svincolò. «Non lo sopporto!» gridò aspramente.
La nave spaziale che Lowell teneva in mano cominciò a ronzare e si scaldò. Tremando, scattò via, spinta dalla potenza dei suoi motori, e andò a piantarsi nel cuore di Madelaine.

Lowell non dovette cercare il numero della polizia. Madelaine lo aveva appiccicato al tavolino del telefono. «Settimo distretto. Parla il sergente Cahoon.»
«Sergente,» disse Lowell, «devo denunciare un incidente... un decesso.»
«Omicidio?» disse Cahoon.
«Non so come lo chiamerebbe lei. Ci vorranno delle spiegazioni.»
Quando arrivò la polizia, Lowell raccontò tranquillamente la sua storia, da quando aveva trovato la nave spaziale fino alla fine.
«In un certo senso è stata colpa mia,» disse. «Gli esserini mi credevano un dio.»

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