Stanton Frelaine faceva del suo meglio per sembrare indaffarato come dovrebbe esserlo un dirigente alle nove e mezzo del mattino. Impossibile. Non riusciva a concentrarsi sull'annuncio pubblicitario scritto la sera prima, non riusciva a pensare al lavoro. Non poteva fare altro che aspettare l'arrivo della posta.
Da due settimane, ormai, aspettava la notifica. Gli uffici statali funzionavano a rilento come al solito.
La porta a vetri dell'ufficio che portava la scritta MORGER E FRELAINE - CONFEZIONI si aprì, e E.J. Morger entrò zoppicando per la sua vecchia ferita d'arma da fuoco. Aveva le spalle curve, ma a settantatré anni suonati il portamento non lo preoccupava granché.
«Allora?» domandò Morger. «È pronto quell'annuncio?»
Frelaine si era associato a Morger sedici anni prima, quando ne aveva ventisette. Insieme avevano fatto ottimi affari.
«Mi sembra che così possa andare» disse Frelaine porgendo il foglio a Morger. "Se solo la posta arrivasse prima" pensò.
«"Avete già un abito Protex?"» lesse Morger ad alta voce, tenendo il foglio vicino agli occhi. «"Il taglio di gran classe, la confezione più accurata, fanno dell'abito Protex, della Morger e Frelaine, il meglio della moda maschile."»
Morger sorrise a Frelaine e continuò a leggere. «"Inoltre, l'abito Protex vi garantisce la massima sicurezza. Ogni abito Protex è fornito di tasca speciale portarevolver, garantita invisibile. Nessuno saprà che siete armati, tranne voi stessi. La tasca speciale consente di estrarre l'arma rapidamente e senza impacci. Tasca all'ascella o al fianco, a scelta." Molto bene» commentò.
Frelaine annuì con indifferenza.
«"L'abito Protex Extra è fornito di tasca a molla, una importantissima conquista nel campo della protezione personale. Una lieve pressione al bottone invisibile vi lancia in mano la pistola, pallottola in canna e sicura alzata. Passate oggi stesso al più vicino negozio Protex! Non correte rischi inutili!" Ottimo» approvò Morger. Rifletté per un momento, passandosi l'indice sui baffi bianchi. «Non si potrebbe aggiungere che l'abito Protex è confezionato in vari modelli, classico o doppio petto, a vita segnata o sciolta?»
«Giusto. Avevo dimenticato.»
Frelaine riprese il foglio e scrisse qualche parola sul margine. Poi si alzò, lisciandosi la giacca sullo stomaco prominente.
Aveva quarantatré anni, qualche chilo di troppo, un inizio di calvizie, modi cortesi ma occhi freddi.
«Stai tranquillo» disse Morger. «Arriverà con la posta di stamattina.»
Frelaine si sforzò di sorridere. Avrebbe voluto calmare la sua irrequietezza mettendosi a passeggiare su e giù per la stanza, invece sedette sull'orlo della scrivania.
«Sembra quasi che sia la prima volta» disse, con un sorriso di scusa.
«So benissimo come ci si sente» disse Morger. «Prima di mettere la pistola in naftalina io passavo le notti in bianco per un mese di seguito, in attesa della notifica.»
I due uomini tacquero, aspettando, finché un fattorino entrò a depositare la posta sulla scrivania di Frelaine.
Frelaine afferrò immediatamente le lettere e tra le altre trovò quella che aspettava: la lunga busta bianca dell'ucE con il sigillo del governo.
«Eccola» disse, con un sorriso di sollievo.
«Bene.» Morger lanciò un'occhiata alla busta, ma non chiese a Frelaine di aprirla. Sarebbe stata una mancanza di tatto e una violazione della legge: nessuno doveva sapere il nome della vittima, eccetto il Cacciatore designato. «Buona caccia.»
«Speriamo» disse Frelaine, fiducioso.
«Una buona caccia è proprio quello che ti ci vuole» aggiunse Morger, battendo leggermente sulla spalla imbottita di Frelaine. «Avevi i nervi a pezzi.»
«Lo so.» Frelaine sorrise ancora e strinse la mano a Morger.
«Vorrei essere giovane!» esclamò Morger, guardando con amarezza la sua gamba invalida. «Mi viene voglia di riesumare la pistola!»
Ai suoi tempi il vecchio era stato un gran Cacciatore. Dieci cacce condotte a termine con successo gli avevano aperto le porte dell'ambitissimo Decaclub. E poiché tra una caccia e l'altra aveva anche dovuto fare la Vittima, i cadaveri al suo attivo erano venti.
«Spero proprio che la mia Vittima non sia uno della tua forza» disse Frelaine.
«Non ti preoccupare. A che numero sei arrivato?»
«Sette.»
«Numero fortunato! Continua così, Stan. Ti avremo presto nel nostro club.»
Con un ultimo cenno di saluto, Frelaine si avviò alla porta.
«Non commettere imprudenze» raccomandò Morger. «Un attimo di distrazione e dovrei cercarmi un nuovo socio. Se non ti dispiace, preferisco quello che ho adesso.»
«Sarò prudente» promise Frelaine.
Invece di prendere un autobus andò a casa a piedi. Camminare gli servì per calmarsi. Capiva che era stupido comportarsi come un ragazzo alla prima caccia, ma non poteva farci niente.
Procedeva con gli occhi fissi davanti a sé. Guardare qualcuno in faccia era come chiedere una pallottola, se la persona guardata era nel suo periodo di Vittima. Alcune Vittime sparavano al solo sentirsi guardate. Tipi nervosi. Prudentemente, Frelaine teneva lo sguardo puntato al di sopra delle teste dei passanti.
Passò davanti a un enorme cartellone che offriva al pubblico i servizi di J.P. O'Donovan.
"VITTIME!" proclamava il manifesto a grandi lettere rosse. "Perché affidarvi alla fortuna? Servitevi degli individuatori O'Donovan. Individueremo per voi il vostro Cacciatore. Pagherete dopo averlo eliminato."
Il manifesto gli ricordò che appena a casa avrebbe dovuto mettersi in contatto con Ed Morrow. Affrettò il passo. Non vedeva l'ora di essere a casa, per aprire la lettera e sapere il nome della Vittima. Sarebbe stato un tipo furbo o stupido? Ricco come la sua quarta vittima, o povero come la prima e la seconda? Si sarebbe affidato a un'agenzia di individuazione specializzata o avrebbe tentato di farcela da solo?
L'eccitazione della caccia era uno straordinario tonico che riscaldava le vene e accelerava i battiti del cuore. Da qualche parte gli giunse eco di spari. Due in rapida successione, poi un terzo, conclusivo. "Qualcuno ha fatto fuori il suo uomo" pensò Frelaine. "Congratulazioni."
Appena rientrato nel suo appartamento, la prima cosa che fece fu telefonare a Ed Morrow, l'individuatore, che tra una chiamata e l'altra lavorava come garagista.
«Salve, Ed. Sono Frelaine.»
«Buongiorno, signor Frelaine.» Gli parve quasi di vedere il largo sorriso sulla faccia sporca di grasso.
«Ci siamo, Ed.»
«Buona fortuna, signor Frelaine. Devo tenermi a disposizione?»
«Sì, non credo che ci vorrà più di una settimana o due. E probabilmente mi manderanno la notifica di Vittima entro tre mesi dopo l'omicidio.»
«Mi terrò pronto. Buona caccia, signor Frelaine.»
«Grazie. Arrivederci.» Appese il ricevitore. Era una saggia precauzione prenotare un individuatore di prim'ordine. Dopo la caccia Frelaine sarebbe diventato a sua volta Vittima. E allora Ed Morrow sarebbe stato di nuovo la sua assicurazione sulla vita.
E che formidabile individuatore era Morrow! Ignorante, addirittura stupido, ma dotato di un intuito eccezionale. I suoi occhi sbiaditi avevano il dono naturale di riconoscere uno straniero al primo sguardo. Ed era di un'abilità diabolica nel tendere imboscate. Un uomo indispensabile.
Frelaine prese la busta, sorridendo nel ricordare i trucchetti di Morrow ai danni dei suoi Cacciatori, e sempre sorridendo gettò uno sguardo sul foglio che aveva estratto dalla busta.
Janet Marie Patzig.
La sua settima Vittima era una donna!
Frelaine mosse qualche passo su e giù per la stanza. Poi lesse di nuovo la lettera. Janet Marie Patzig. Non s'era sbagliato. Erano accluse tre fotografie, l'indirizzo, i connotati. Frelaine aggrottò la fronte. Non aveva mai ucciso una donna. Esitò un momento, poi prese il telefono e chiamò l'UCE.
«Ufficio Catarsi Emotiva, Servizio Informazioni» rispose una voce maschile.
«Scusi» disse Frelaine «ho appena ricevuto la notifica e mi è capitato il nome di una ragazza, una certa Janet Marie Patzig. È regolare?»
«Regolarissimo, signore» rispose l'impiegato dopo un rapido controllo. «La signorina si è messa in lista di sua spontanea volontà. La legge le conferisce gli stessi diritti di un uomo.»
«Può dirmi quante cacce ha al suo attivo?»
«Spiacente, signore, non possiamo fornire altre informazioni.»
«Capisco... Posso chiedere un cambio?»
«Può rinunciare alla caccia, ne ha tutto il diritto. Ma per poterne effettuare un'altra dovrà prima servire come Vittima. Vuole rinunciare?»
«No, no» si affrettò a dire Frelaine. «Volevo solo sapere. Grazie.»
Posò il ricevitore e andò a sprofondarsi nella poltrona più comoda, allentandosi la cintura. Doveva riflettere.
"Accidenti alle donne" brontolò tra sé e sé. Quella non poteva restarsene a casa, anziché immischiarsi negli affari degli uomini? Ma erano libere cittadine anche loro, ricordò. Tuttavia la caccia non era un'attività molto femminile.
Frelaine sapeva che, storicamente parlando, l'Ufficio Catarsi Emotiva era stato creato per gli uomini, e solo per gli uomini, alla fine della quarta guerra mondiale, o alla sesta, secondo la cronologia di alcuni storici. A quell'epoca si era imposta la necessità assoluta di una pace duratura. La ragione era semplice: un altro passo e si sarebbe giunti alla distruzione totale. La potenza, l'efficienza, la capacità di sterminio delle armi era andata aumentando a ogni guerra, e i soldati, con l'abitudine, erano diventati sempre meno restii a usarle. Ma poi si era raggiunto il punto di saturazione: un'altra guerra sarebbe stata veramente l'ultima. Quindi, la pace doveva durare per sempre. Ma gli organizzatori del mondo erano gente pratica e capirono che tensione e squilibri, ingredienti principali delle guerre, non sarebbero scomparsi, e si domandarono perché nel passato la pace non fosse mai durata. "Perché agli uomini piace combattere" fu la risposta. Gli idealisti protestarono a gran voce.
Ma gli uomini che avevano il compito di organizzare la pace erano stati costretti ad ammettere, a malincuore, l'esistenza di un istintivo bisogno di violenza in una larga percentuale dell'umanità.
Gli uomini non sono né angeli né diavoli. Sono soltanto esseri umani, forniti di un alto grado di combattività.
E per i realisti era una qualità che non doveva andare persa. Essi attribuivano grande valore alla competizione, al piacere della lotta, al coraggio di fronte all'imprevisto, tutte tendenze positive e preziose in una razza. Privata di esse, la specie avrebbe cominciato a regredire. Il bisogno di violenza era inestricabilmente legato allo spirito d'inventiva, di adattamento, di iniziativa.
Quei lungimiranti pensarono bene di stabilire una pace che durasse anche dopo la loro scomparsa, di impedire alla razza di autodistruggersi senza alterare le tendenze che la spingevano a farlo.
Da realisti decisero che l'unica soluzione era di incanalare diversamente la violenza dell'uomo.
Il primo passo importante fu il ripristino degli antichi giochi dei gladiatori, senza risparmio di sangue e crudeltà. Ma non bastava. La sublimazione funzionava fino ad un certo punto, oltre il quale la gente aveva bisogno di una partecipazione più diretta.
Così l'assassinio venne legalizzato, su basi strettamente individuali e solo per coloro che lo richiedevano. I vari governi si accordarono per creare gli Uffici Catarsi Emotiva.
Dopo un periodo sperimentale vennero adottate regole universalmente valide. Chiunque desiderasse uccidere poteva iscriversi all'UCE, e se rispondeva ai requisiti necessari gli veniva concessa una Vittima. Tutti coloro che avessero ottenuto il diritto di uccidere nei termini consentiti dalla legge, dovevano poi, se sopravvissuti, fare un turno come Vittime.
Queste le linee generali dell'organizzazione. Ogni individuo poteva commettere tutti gli omicidi che desiderava, ma tra uno e l'altro doveva fare la parte di Vittima. Se, a questo punto, riusciva ad uccidere il proprio Cacciatore, poteva ritirarsi o mettersi in lista per un altro assassinio.
Alla fine dei primi dieci anni risultò, dalle statistiche, che un terzo della popolazione dei paesi civili aveva usufruito almeno una volta del diritto di uccidere. La percentuale scese poi a un quarto, e si stabilizzò su questa quota. I filosofi scuotevano la testa, ma i realisti erano soddisfatti. La guerra era tornata là dove era nata: nelle mani degli individui.
Naturalmente il gioco aveva le sue ramificazioni e le sue conseguenze. Una volta accettato, non tardò a dar luogo a ogni genere di grosse e proficue speculazioni. Al servizio delle Vittime e dei Cacciatori si era sviluppata tutta un'industria.
L'Ufficio Catarsi Emotiva estraeva a sorte il nome delle Vittime e dava ai Cacciatori due settimane di tempo per ucciderle. Un Cacciatore aveva l'obbligo di agire da solo. Gli venivano forniti nome, indirizzo e connotati della Vittima. Doveva usare una pistola del calibro prescritto e non gli era permesso indossare indumenti corazzati di qualsiasi tipo.
La Vittima riceveva la notifica con una settimana di vantaggio sul Cacciatore, del quale però non veniva rivelata l'identità. Poteva scegliere le armi e le corazzature che voleva e assoldare degli individuatori. Un individuatore non poteva uccidere, privilegio riservato a Vittime e Cacciatori, ma sapeva individuare uno straniero o costringere un Cacciatore nervoso a rivelarsi. La Vittima poteva organizzare qualunque genere di imboscate per uccidere il Cacciatore.
Pene severissime venivano comminate a chi uccideva o feriva per errore un estraneo, dato che l'assassinio, fuori dei limiti consentiti dalla legge, era rigorosamente vietato. I delitti per vendetta o per interesse venivano puniti con la morte.
La bellezza del sistema consisteva nel fatto che chi aveva voglia di uccidere poteva farlo e chi non voleva, ossia la massa della popolazione, era libero di non farlo.
Almeno così non c'erano più grandi guerre, né calde né fredde. C'erano solo centinaia di migliaia di microconflitti.
Frelaine non era allettato dall'idea di uccidere una donna, ma in fondo era stata la ragazza a iscriversi e lui non avrebbe certo rinunciato alla sua settima caccia. Passò la mattina a mandare a memoria i dati della Vittima.
Janet Patzig viveva a New York. A Frelaine piaceva cacciare in una grande città e aveva sempre desiderato visitare New York. L'età della ragazza non figurava tra i dati, ma a giudicare dalle fotografie non doveva avere più di vent'anni.
Prenotò telefonicamente un posto sull'aviogetto per New York e fece una doccia. Indossò un abito Protex confezionato per l'occasione, scelse una pistola dalla sua collezione, la pulì, la lubrificò e poi preparò la valigia.
"È straordinario" pensò "come ogni uccisione susciti sensazioni sempre nuove."
Dell'omicidio non ci si stancava mai, come capitava invece con le donne o i liquori. Ogni volta era diversa dalla precedente.
Per finire, Frelaine scelse i libri da portare con sé. La sua biblioteca conteneva tutti i testi fondamentali sull'argomento.
Per il momento non gli servivano i testi per Vittime come Tattiche per la Vittima di L. Fred Tracy, che insisteva soprattutto sul rigoroso controllo dell'ambiente, o Non comportatevi da vittima del dottor Frisch. Quelli li avrebbe letti tra qualche mese, quando sarebbe stato di nuovo Vittima. Ora aveva bisogno dei testi sulla caccia.
La Tattica della caccia all'uomo era quello fondamentale, un classico, ma lo sapeva quasi a memoria. Tecnica dell'agguato non rispondeva alle sue necessità attuali. Scelse Caccia in città di Mitwell Clark, Come individuare l'individuatore di Algreen e L'ambiente della Vittima dello stesso autore.
Dopo di che fu pronto. Lasciò un biglietto per il lattaio, chiuse l'appartamento e prese un taxi per l'aeroporto.
A New York scelse un albergo vicino all'abitazione della Vittima. Il portiere fu tutto sorrisi e gentilezze, cosa che infastidì Frelaine. Non gli andava di essere riconosciuto così facilmente come Cacciatore forestiero.
Appena salito in camera, la prima cosa che vide fu un opuscolo posato sul tavolino da notte: "Come trarre il massimo dalla vostra Catarsi Emotiva".
Un omaggio della direzione. Frelaine lo sfogliò sorridendo.
Poiché era la prima volta che veniva a New York, passò il pomeriggio a passeggiare per le strade nella zona della Vittima e ad ammirare qualche vetrina.
"Martinson e Black" era un negozio affascinante. Visitò il reparto Cacciatori e Cacciati: c'erano vestiti e cappelli corazzati, e un vasto assortimento di 38mm ultimo modello.
"Usate la pistola di precisione Malvern!" consigliava un cartello. Approvata dall'ucE. Caricatore con venti colpi. Deviazione inferiore a 1/10 di mm su 100 metri. Non mancate la vostra Vittima! Non rischiate la vita! Malvern significa sicurezza!"
Frelaine sorrise. Lo slogan era discreto e la piccola arma nera aveva un aspetto efficiente. Ma lui era completamente soddisfatto della sua.
Nello stesso negozio c'era una vendita speciale di bastoni muniti di caricatore a quattro colpi perfettamente invisibile. Da giovane Frelaine andava matto per quelle novità, ma l'esperienza gli aveva insegnato che i vecchi sistemi sono quasi sempre i migliori.
Davanti al negozio, quattro uomini del Servizio di Sanità stavano caricando il cadavere di un tale appena ucciso. Frelaine si rammaricò di aver perso lo spettacolo.
Cenò in un buon ristorante e andò a letto presto. L'indomani aveva molto da fare.
Il giorno seguente, con la faccia della Vittima bene impressa in mente, passeggiò nel quartiere, senza guardare direttamente nessuno. Camminava a passo spedito, come se avesse una meta da raggiungere. In fretta, proprio come deve camminare un vecchio Cacciatore. Oltrepassò diversi bar e in uno si fermò a bere qualcosa. Poi proseguì per una traversa della Lexington Avenue. C'era un simpatico caffè con i tavoli sul marciapiede. Frelaine vi passò in mezzo.
E fu in quel momento che la vide. Non poteva sbagliare. Era Janet Patzig, seduta a un tavolo, con lo sguardo perso dentro il bicchiere. Non alzò gli occhi al suo passaggio.
Frelaine proseguì fino in fondo all'isolato. Voltò l'angolo e si fermò con le mani tremanti. Era pazza a esporsi in quel modo? Credeva di essere protetta da un incantesimo?
Fece un cenno a un taxi e ordinò all'autista di girare intorno all'isolato. Era ancora seduta lì. Frelaine la guardò attentamente. Sembrava più giovane che nelle fotografie. I capelli scuri divisi nel mezzo le incorniciavano il volto, dandole un'aria monacale. L'espressione, per quello che poté vedere lui, era di triste rassegnazione.
Frelaine pagò il taxi, entrò svelto in un bar, trovò una cabina telefonica vuota e chiamò l'UCE.
«Siete sicuri che una Vittima di none Janet Marie Patzig abbia ricevuto la notifica?»
«Un momento, signore.» Frelaine tamburellò sulla porta mentre l'impiegato controllava lo schedario. «Sì, signore. Abbiamo la sua conferma. C'è qualcosa che non va, signore?»
«No» rispose Frelaine. «Volevo solo esserne sicuro.»
Dopotutto, se la ragazza si era messa in testa di non difendersi, erano affari suoi.
Lui aveva il diritto di ucciderla.
Comunque Frelaine rimandò tutto, e andò invece al cinema. Dopo cena tornò in albergo e lesse l'opuscolo dell'UCE. Poi si stese sul letto a pensare.
Non doveva far altro che spararle addosso. Passarle accanto in taxi e ucciderla. Quella ragazza si comportava molto poco sportivamente, concluse risentito, e si addormentò.
Il pomeriggio seguente Frelaine passò di nuovo davanti al caffè. La ragazza c'era ancora, seduta allo stesso tavolino. Frelaine prese un taxi.
«Giri lentamente intorno all'isolato» raccomandò all'autista.
«Va bene» rispose l'altro, che aveva capito.
Dal taxi, Frelaine controllò se vi fossero individuatori appostati. Pareva proprio che la ragazza non avesse alcuna protezione. Teneva tutte e due le mani in vista sul tavolo.
Un bersaglio facile e immobile.
Frelaine toccò un bottone della giacca, una piega si aprì e la pistola gli balzò in mano. Estrasse il caricatore, lo controllò e lo reinserì con uno scatto.
«Rallenti» ordinò all'autista.
Il taxi avanzò lentamente. Frelaine mirò con cura alla ragazza e l'indice si tese sul grilletto.
«Accidenti!»
Un cameriere era passato davanti a lei e Frelaine non voleva correre il rischio di colpire qualcun altro.
«Faccia un altro giro» disse all'autista.
L'uomo sogghignò, felice. Frelaine si chiese se si sarebbe divertito tanto se avesse saputo che il bersaglio era una donna.
Questa volta non c'erano camerieri in circolazione. La ragazza stava accendendo una sigaretta con lo sguardo triste concentrato sull'accendino. Frelaine mirò tra gli occhi e trattenne il respiro.
Poi scosse la testa e rimise in tasca la pistola. Quell'idiota lo stava privando di tutto il beneficio della catarsi. Pagò il taxi e proseguì a piedi.
"Così è troppo facile" si disse. Lui era abituato a cacciare sul serio. Le altre sei cacce erano state difficili. Le Vittime avevano tentato ogni trucco. Uno aveva assoldato una dozzina di individuatori. Ma Frelaine le aveva fatte fuori tutte adottando ogni volta la giusta tattica. La sesta Vittima, aveva dovuto inseguirla attraverso la Sierra Nevada. S'era anche buscato una pallottola, ma alla fine aveva vinto lui.
Ma questa... Quale sarebbe stata l'opinione del Decaclub? Ci teneva molto a entrare nel club.
Anche se rinunciava alla ragazza non avrebbe potuto evitare il relativo turno di Vittima.
Poi, se fosse sopravvissuto, gli sarebbero mancate ancora quattro cacce per l'ammissione. A quel ritmo non ce l'avrebbe mai fatta.
Passò ancora davanti al caffè, poi, d'impulso, si fermò.
«Salve» disse.
Janet Patzig lo guardò con i tristi occhi azzurri, ma non parlò.
«Senta» continuò lui, sedendosi accanto «se le do fastidio me lo dica e me ne vado. Vengo da fuori città. Sono qui per un congresso e mi piacerebbe fare quattro chiacchiere con una ragazza. Ma se preferisce...»
«Non m'importa niente» disse Janet Patzig con voce spenta.
«Un cognac» ordinò Frelaine al cameriere. Il bicchiere di Janet Patzig era ancora quasi pieno.
Frelaine guardò la ragazza con il cuore che gli saltava in gola. Questo sì che era emozionante: bere in compagnia della propria Vittima!
«Mi chiamo Stanton Frelaine» disse, sapendo che per lei il suo nome non significava niente.
«Janet.»
«Janet e poi?»
«Janet Patzig.»
«Piacere di conoscerla» disse Frelaine, in tono naturalissimo. «Stasera è già impegnata, Janet?»
«Stasera probabilmente sarò morta» rispose lei, tranquillamente.
Frelaine la guardò con attenzione. Si era resa conto della sua identità? Per quel che ne sapeva, poteva avere una pistola puntata contro di lui sotto il tavolo. Mise un dito sul bottone.
«Lei è una Vittima?» domandò.
«Ha indovinato» rispose lei, ironicamente. «Se fossi in lei girerei al largo. È da stupidi farsi colpire per sbaglio.»
Frelaine non riusciva a spiegarsi la calma della ragazza. Voleva morire? O era solo apatia?
«Non ha un individuatore?» chiese con naturalezza, cercando di sembrare stupito.
«No.» Lo guardò e Frelaine si accorse di una cosa che non aveva ancora notato.
Era molto carina.
«Sono molto cattiva» disse lei con leggerezza. «Mi è venuta voglia di commettere un omicidio e mi sono iscritta all'UCE. Poi... non ci sono riuscita.»
Frelaine scosse la testa con simpatia.
«Ma naturalmente» proseguì la ragazza «anche se non ho sparato, adesso mi tocca fare la Vittima.»
«Perché non assume un individuatore?» chiese Frelaine.
«Non riuscirei a uccidere nessuno. Proprio non ci riuscirei. Non ho nemmeno un'arma.»
«È coraggiosa a esporsi così» disse Frelaine, sbalordito da tanta stupidità.
«Cosa potrei fare?» chiese la ragazza, e senza aspettare una risposta, aggiunse: «Non si può sfuggire a un vero Cacciatore. E non ho abbastanza denaro per sparire in maniera efficace.»
«Dal momento che si tratta della sua vita, mi sembra che...»
«No, ci ho già pensato e ripensato. Tutta questa faccenda è sbagliata. Il sistema non va. Quando ho puntato l'arma sulla mia Vittima, quando ho visto con quanta facilità potevo...» Scrollò le spalle. «Ma non pensiamoci più» e sorrise.
Un sorriso che stordì Frelaine.
Parlarono d'altro. Lui le raccontò dei suoi affari, lei di New York. Aveva ventidue anni, era attrice, ma non aveva avuto successo.
Cenarono insieme. Quando lei accettò di accompagnarlo ai Giochi, Frelaine fu preso da una irragionevole euforia. Chiamò un taxi - pareva che fosse destinato a passare quasi tutto il suo tempo in taxi, a New York - e le aprì la portiera.
La ragazza salì e Frelaine ebbe un attimo di esitazione. Avrebbe potuto colpirla facilmente, in quel momento. Ma si trattenne. Non ancora, si disse.
I Giochi erano più o meno gli stessi dappertutto, ma bisognava riconoscere che a New York il livello dei combattimenti era superiore alla media. Ci furono i soliti duelli storici tra gladiatori e reziari, incontri alla sciabola e al fioretto: per lo più all'ultimo sangue, naturalmente. Poi lotte con i tori, con i leoni, con i rinoceronti e duelli da dietro le barricate, con archi e frecce e incontri acrobatici, sul filo.
La serata trascorse piacevolmente.
Quando accompagnò a casa la ragazza, Frelaine aveva le mani sudate. Nessuna donna gli era mai piaciuta tanto. Ed era proprio la sua Vittima. Non sapeva più cosa fare.
La ragazza lo invitò a salire e sedettero vicini, su un divano. Lei accese una sigaretta con un grosso accendisigari.
«Partirà presto?» domandò.
«Credo di sì» rispose Frelaine. «Il congresso finisce domani.»
Una pausa. «Mi dispiace» disse lei.
Un'altra pausa. Poi Janet si alzò per versargli da bere. Frelaine la guardò. Era il momento buono. Avvicinò la mano al bottone.
Ma il momento passò, irrevocabilmente. Non l'avrebbe uccisa: non si uccide la donna che si ama.
L'amava! Se ne rese conto con sbalordimento. Era venuto per uccidere, non per trovare una moglie.
La ragazza tornò col bicchiere e gli sedette di fronte, lo sguardo fisso nel vuoto.
«Janet» disse Frelaine «io ti amo.»
Lei rimase seduta, a fissarlo. Aveva gli occhi pieni di lacrime.
«Non puoi» protestò. «Sono una Vittima, non vivrò abbastanza per...»
«Non morirai. Sono io il tuo Cacciatore.»
Lei lo scrutò per un momento, poi fece una risatina incerta.
«Mi ucciderai?»
«Non dire stupidaggini. Ti voglio sposare.»
Gli si buttò tra le braccia.
«Dio mio!» singhiozzò. «Ero così terrorizzata...»
«È tutto finito» la rassicurò lui. «Pensa che storia da raccontare ai nostri bambini! Sono arrivato come assassino e sono ripartito come marito.»
La ragazza lo baciò, poi sedette di nuovo e accese un'altra sigaretta.
«Facciamo le valigie» disse Frelaine. «Voglio...»
«Un momento» l'interruppe Janet. «Non mi hai chiesto se io ti amo.»
«Come?»
La ragazza sorrideva, puntandogli contro l'accendino. Nel fondo c'era un forellino nero, abbastanza largo per un proiettile calibro 38.
«Non scherzare» protestò Frelaine, alzandosi.
«Non scherzo, caro.»
In una frazione di secondo Frelaine ebbe il tempo di domandarsi come aveva potuto credere che la donna avesse poco più di vent'anni. Guardandola ora, guardandola veramente, capì che non poteva averne meno di trenta. Ogni attimo di una vita di tensione e d'ansia era inciso sulla sua faccia.
«Non ti amo, Stanton» disse Janet, a voce bassissima, tenendo puntato l'accendisigari.
Frelaine respirava a fatica. Una parte di lui era ancora abbastanza lucida da pensare che la ragazza era un'attrice stupenda, dal momento che doveva aver capito tutto fin dal principio.
Frelaine premette il bottone e la pistola gli balzò in mano col proiettile in canna.
Il colpo che ricevette in pieno petto lo fece stramazzare su un tavolino. La pistola gli sfuggì di mano. Ansimando, semincosciente, le vide prendere la mira per il colpo di grazia.
«Adesso potrò entrare nel Decaclub» le sentì dire mentre premeva il grilletto.
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