sabato 27 gennaio 2018

UN' OPERA D'ARTE racconto di Anton Cˇechov

Anton Cˇechov
(1860-1904)
Un’opera d’arte

Con sotto il braccio un oggetto avvolto nel numero 223 de «Le notizie di
borsa» Saša Smirnòv, unico figliuolo di sua madre, entrò nel gabinetto del dottor
Kosel’kov facendo la faccia acida.
«Ah, caro ragazzo!» così lo accolse il dottore. «Be’! come ci sentiamo? Che
mi dite di bello?»

Saša batté le palpebre, si portò una mano al cuore e disse con voce commossa:
«La mamma vi manda a salutare, Jvàn Nikolàevicˇ! E mi ha ordinato di ringraziarvi...
Io sono l’unico figlio di mia madre, e voi mi avete salvato la vita...
mi avete curato una malattia pericolosa, e... noi due non sappiamo come ringraziarvi
».
«Lasciamo andare, ragazzo!» lo interruppe il dottore, torcendo il viso dalla
soddisfazione. «Io ho fatto soltanto quello che chiunque altro avrebbe fatto al
mio posto».
«Io sono l’unico figlio di mia madre... Noi siamo povera gente e naturalmente
non possiamo pagarvi per il vostro lavoro... e ne abbiamo rimorso, dottore,
sebbene, del resto, maman1 e io, unico figlio di mia madre, con persuasione vi
preghiamo di accettare in segno della nostra gratitudine..., ecco, questo oggetto,
che... è un oggetto molto caro, di bronzo antico... un’opera d’arte rara».
«Ma non è affatto necessario!» e il dottore si accigliò2. «Perché mai?»
«No, vi prego, dottore, non rifiutate», continuò a borbottare Saša, svolgendo
l’involto. «Con un rifiuto ci offendereste, me e maman... L’oggetto è molto bello...
di bronzo antico... Ci viene dal mio povero papà e l’abbiamo conservato
come un caro ricordo... Il mio papà comprava bronzi antichi e li rivendeva agli
amatori. La mamma ed io continuiamo il mestiere di papà...»
Saša svolse l’oggetto e solennemente lo posò sul tavolo. Era un piccolo candelabro
di vecchio bronzo, lavorato artisticamente. Rappresentava un gruppo:
sul piedistallo stavano due figure femminili nel costume d’Eva3 e in pose, a
descriver le quali non mi basta né l’ardire né il temperamento. Le figure sorridevano
civettuole e in generale avevano l’aria di essere pronte, se non avessero
avuto l’obbligo di sostenere il candelabro, a saltar giù dal piedistallo per orga-
nizzare nella stanza un tal baccanale4 da non poterci neppure pensare senza vergognarsi.
Vedendo il regalo, il dottore si grattò subito dietro un orecchio, si raschiò la
gola e indeciso si soffiò il naso.
«Sì, l’oggetto è veramente molto bello», mormorò, «ma... come dire, non è...
non è abbastanza letterario... Non è neppure scollacciato5, ma lo sa il diavolo
che roba è...»
«Ma come, perché?»
«Lo stesso serpente tentatore non avrebbe potuto inventare qualche cosa di
più sconcio... A metter sul tavolo una tale fantasmagoria6, significherebbe insudiciare
tutta la casa!»
«Che strana concezione avete dell’arte, dottore!» disse Saša offeso. «Questo
è un oggetto artistico, guardate! Tanta bellezza ed eleganza che l’anima si riempie
di un sentimento di venerazione e vengono le lacrime in gola! Vedendo una
tale bellezza, ci si dimentica delle cose terrene... Guardate quanto movimento,
che massa d’aria, che espressione!»
«Lo capisco benissimo, mio caro», lo interruppe il dottore, «ma io ho famiglia,
qui scorrazzano i bambini, vengono delle signore».
«Certo, se si guarda dal punto di vista della folla7», disse Saša, «ma un oggetto
di così alta arte deve essere guardato sotto un’altra luce... Ma, dottore, siate
superiore alla folla, tanto più che col vostro rifiuto voi offendete profondamente
me e la mamma. Io sono l’unico figlio di mia madre... voi mi avete salvato la
vita... Noi vi diamo l’oggetto più caro che abbiamo... e io mi rammarico solo
che voi non abbiate un altro candelabro uguale per far la coppia...»
«Grazie, tesoro, vi sono molto grato... Salutatemi la mamma, e in nome di
Dio, giudicate voi stesso; qui ci razzolano i ragazzi, vengono delle signore...
Be’, del resto, lasciatelo pure! Non riuscirei a convincervi».
«Non c’è da convincere», disse Saša tutto lieto. «Questo candelabro lo mettete
qui, accanto a questo vaso. Che peccato che non ci sia la coppia! Un vero
peccato! Arrivederci, dottore».
Uscito che fu Saša, il dottore guardò a lungo il candelabro, si grattò dietro
l’orecchio e rifletté: “L’oggetto è magnifico, non c’è questione”, pensò, “e buttarlo
via è peccato... Lasciarlo qui è impossibile... Uhm! Un bel problema! A chi
lo potrei regalare o offrire?”
Dopo una lunga riflessione, si ricordò di un buon amico, l’avvocato Uchov,
al quale era debitore per la difesa di una causa.
“Benissimo”, decise dentro di sé. “Come amico non accetterebbe da me
denaro, e sarà molto elegante presentargli in dono un bell’oggetto. Porterò a lui
questa diavoleria! Del resto, è scapolo e caposcarico8...”
Senza rinviar la cosa, il dottore si vestì, prese il candelabro e si recò da
Uchov.
«Salve, amico!» disse, trovando l’avvocato in casa. «Sono venuto... sono
venuto per ringraziarti, caro, delle tue fatiche... Denaro non vuoi prenderne;
accetta perciò questo oggettino... ecco, caro... Una cosuccia, ma una magnificenza!
»
Vedendo la cosuccia, l’avvocato fu preso da indescrivibile entusiasmo.
«Accidenti che pezzo!» esclamò ridendo, «che il diavolo se lo porti, ci vuol
proprio il diavolo per inventare una cosa simile! Stupendo, magnifico! Dove
hai trovato una tale bellezza?»
Riversato l’entusiasmo, l’avvocato guardò la porta come se avesse timore e
disse:
«Solo, fratello caro, portati via il regalo. Io non lo prendo...»
«Perché?» il dottore si spaventò.
«Perché... perché da me vengono mia madre, delle clienti..., e anche di fronte
alla donna di servizio mi fa scrupolo».
«No, no, no... Non puoi rifiutare», il dottore fece un gesto con le mani. «È
una porcheria da parte tua! Un oggetto d’arte... quanto movimento... espressione...
Non voglio nemmeno parlare! Mi offendi!»
«Se si potesse ricoprirlo un po’, metterci delle foglie di fico...»
Ma il dottore fece un gesto ancora più energico con le mani, saltò fuori dall’appartamento
di Uchov e, soddisfatto di essersi liberato del regalo, tornò a
casa... Dopo che egli fu uscito, l’avvocato osservò il candelabro, lo palpò da tutte
le parti con le dita e, come il dottore, a lungo si ruppe la testa sul problema: a
chi fare un regalo?
“L’oggetto è bellissimo”, rifletteva, “buttarlo via è un peccato, tenerlo in casa
è indecente... Meglio di tutto, regalarlo a qualcuno... Ecco, porterò il candelabro
questa sera al comico Sàskin. Quella canaglia ama questo genere di oggetti
e stasera è la sua serata d’onore...”
Detto fatto. La sera stessa il candelabro, accuratamente avvolto, fu portato al
comico Sàskin. Per tutta la sera il suo camerino fu affollato di uomini che venivano
ad ammirare il regalo: per tutto il tempo il camerino risonò di esclamazioni
entusiastiche e di risate, simili a nitriti.
Dopo lo spettacolo il comico scrollò le spalle, allargò le braccia e disse: «E
ora dove metto questa porcheria? Io vivo in famiglia! E da me vengono delle
attrici. Non è una fotografia che la puoi nascondere in un cassetto!»
«E voi, signore, vendetela», gli suggerì il parrucchiere, che lo stava svestendo.
«Qui nel sobborgo c’è una vecchietta, che compra vecchi bronzi... Andateci
e domandate della Smirnòva... La conoscono tutti».
Il comico seguì il consiglio... Un paio di giorni più tardi il dottore Kosel’kov
era nel suo gabinetto e con un dito sulla fronte pensava agli acidi del fiele. A un
tratto si aprì la porta e nel gabinetto irruppe Saša Smirnòv. Sorrideva raggiante
e tutta la sua figura emanava felicità... Teneva in mano un oggetto avvolto in un
giornale.«Dottore!» cominciò, ansimando. «Figuratevi la mia gioia! Per vostra fortuna
ci è riuscito a procurarci un candelabro come il vostro per fare il paio...
Anche la mamma è felice... Io sono l’unico figlio di mia madre... Voi mi avete
salvato la vita...»
E Saša, tutto tremante per il sentimento di riconoscenza, pose davanti al dottore
il candelabro. Il dottore spalancò la bocca, avrebbe voluto dire qualcosa,
ma non disse nulla: la lingua gli si era paralizzata.

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